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CHIUDI GLI OCCHI SE NON VUOI DIMENTICARE… SEMPLICI TRUCCHI PER ALLENARE LA MEMORIA

Non ricordi più il pin del bancomat, non sai dove hai lasciato le chiavi, e il nome di quel ristorante di cui ti hanno tanto parlato e, stasera sarebbe proprio la sera giusta per andarci, non vuole proprio tornarti in mente…? Tranquillo, una soluzione c’è: chiudi gli occhi.

Non è uno scherzo. Ma il frutto di anni di ricerche nel campo delle neuroscienze: la concentrazione e il richiamare alla mente determinati particolari avvengano con più facilità ad occhi chiusi. In questo modo  vengono esclusi quei fattori di disturbo esterni che potrebbero compromettere la concentrazione e la focalizzazione su quanto è di nostro interesse ricordare.

Lo studio che ha portato a questa conclusione è stato condotto da un gruppo di psicologi dell’università britannica del Surrey che ha messo alla prova 178 persone, facendo vedere loro due diversi film.  Il primo muto, composto da sole immagini in movimento, il secondo con il sonoro attivato. Nel primo film si vedeva un ladro travestito da idraulico entrare in azione in un appartamento derubando la padrona. A fine proiezione gli spettatori sono stati invitati a chiudere gli occhi e a concentrarsi ricordando le immagini per rispondeew a una serie di quesiti su alcuni particolari del film, come per esempio cosa vi era scritto sul camioncino del ladro.

Nel secondo film invece, veniva proiettato un episodio tratto da una serie tv trasmessa dalla Bbc dove veniva raccontato un crimine ai danni di una signora anziana, questa volta con dialoghi e audio attivato. Al campione sottoposto al test veniva chiesto ancora una volta di rispondere a occhi chiusi a una serie di quesiti, incluse domande sulle frasi pronunciate dai protagonisti dell’episodio.

CHIUDERE GLI OCCHI FA MIRACOLI

I risultati raccolti dai ricercatori hanno dimostrato come la concentrazione e il richiamare determinati particolari siano azioni più semplici se gli occhi vengono chiusi, escludendo dunque fattori di disturbo esterni che potrebbero compromettere la concentrazione e il focalizzarsi su quanto richiesto.

Alle stesse domande poste a un campione di persone a occhi aperti è stato risposto correttamente nel 48 per cento dei casi, mentre quando le persone intervistate venivano invitate a isolare la vista e gli elementi esterni chiudendo gli occhi, questa percentuale saliva al 71 per cento.

Lo studio dimostrerebbe anche l’efficacia degli esercizi di visualizzazione per alzare la capacità di registrare informazioni visive e aiutare così il cervello a ritenere un maggior numero di particolari rispetto a un fatto, a un’immagine, ma anche a qualcosa che viene sentito nell’ambiente che ci circonda.

La ricerca, utile nella vita comune ma pensata soprattutto per migliorare le tecniche di intervista dei testimoni oculari di crimini, è stata pubblicata sulla rivista scientifica Legal and Criminology Psychology. I ricercatori hanno inoltre dimostrato come, oltre agli occhi chiusi, anche il legame creato con l’investigatore prima dell’intervista sia un fattore che può aiutare maggiormente a ricordare. La percentuale di risposte esatte infatti aumentava anche nel caso in cui si fosse instaurato un rapporto di conoscenza e di fiducia tra intervistato e intervistatore.

ALTRE RICERCHE 

Lo scienziato Art Markman, ha dimostrato che il nostro cervello elabora tonnellate di informazioni; decifrare tutto ciò che si vede richiede molta potenza di elaborazione da parte della mente, chiudere gli occhi, fissare il cielo o il soffitto, aiuta il cervello a “rilassarsi”, concentrandosi su cosa ricordare piuttosto che elaborare gli input visivi;
lo stesso concetto vale per gli altri sensi. Se si sta cercando di ricordare un suono o la voce di qualcuno, i rumori percepiti dal nostro orecchio rendono il processo più difficile. Questo è il motivo per cui, ad esempio, si può avere difficoltà a scrivere quando gli altri stanno parlando. In sostanza, quando si ha bisogno di ricordare qualcosa, è necessario isolare il senso rilevante.

Un’altra ricerca svolta da psicologi e neuroscienziati dell’Università di Edimburgo, dimostra che far riposare la mente aiuta a fissare meglio le informazioni percepite. In un test gli scienziati hanno chiesto a un gruppo di persone di seguire un racconto, quindi rilassarsi, prendere una breve pausa e chiudere gli occhi per 10 minuti in una stanza buia. Agli stessi partecipanti è stata poi proposta un’altra storia ma invece di incentivare il riposo è stato chiesto loro di svolgere un altro compito impegnativo per la mente: individuare le differenze tra alcune coppie di immagini quasi identiche.
I ricercatori hanno così appurato che i partecipanti allo studio ricordano molti più dettagli di qualsiasi storia loro raccontata se questi, dopo aver udito il racconto, si sono rilassati non impegnando il loro cervello in altre attività, sorprendentemente scoprendo che i loro ricordi sono ancora vividi anche dopo una settimana.

Una scoperta che dovrebbero tenere in forte considerazione gli studenti o tutte quelle persone a cui è richiedo l’apprendimento di nuove nozioni.

SE NON BASTASSE… ALTRI 4 TRUCCHI PER RICORDARE

Per fermare, o al limite arginare, l’oblio ci sono altri trucchi supportati dalle ricerche scientifiche che possono rivelarsi utili.

STAI BEN SEDUTO

La postura conta più di quanto si pensi. Si pensava che avesse benefici solo per la colonna vertebrale, poi si è scoperto che può avere conseguenze sull’attenzione e sulla memoria. Dritti e con il mento in su, insomma. La posizione aumenta il flusso di ossigeno al cervello almeno del 40%. Rimanere curvi in avanti aiuta, invece, a ravvivare i brutti ricordi.

EVITA LE PORTE

È un fenomeno che abbiamo sperimentato tutti: si lascia una stanza per fare una cosa, e quando si approda nell’altra, non ci si ricorda più cosa siamo andati a fare lì. Il funzionamento dell’effetto della porta” è questo: di fronte a nuove sensazioni (visive, uditive) impreviste e improvvise, gli ultimi pensieri vengono messi da parte per fare spazio alla nuova, imprevista, situazione.

MASTICA GOMME
La scienza ha scoperto che masticare aiuta a concentrarsi e, di conseguenza, a sviluppare ricordi più saldi. L’ultima parola spetta a uno studio dell’Università di Cardiff, che dimostra come la ripetitività dell’azione, il flusso di sangue siano fattori importanti per tenere desta l’attenzione per un periodo di tempo piuttosto lungo.

PRENDERE APPUNTI A MANO
Il movimento della mano, la pressione, la traduzione dei suoni in segni implicano un’attività mentale più ampia e raffinata rispetto a quella che richiede la semplice tastiera. Anche qui, l’attenzione sarà maggiore e così anche la durata dei ricordi.

A questo punto non avete più scuse… neanch’io…

Se poi fossi riuscito a solleticare la tua curiosità, e nel caso lo avessi perso, ti rimando anche a un articolo di qualche tempo fa in cui invece ti raccontavo come il cervello elabora la memoria: http://diegococo.it/?p=2135&preview=true

UN INSETTO SOTTO PELLE… LA SENSAZIONE CHE PROVA CHI E’ AFFETTO DALLA SINDROME DI EKBOM

Insetti e parassiti sotto pelle. E’ la sensazione che avvertono le persone affette dalla sindrome di Ekbom, il disturbo psicologico che porta ad avere allucinazioni tattili e prurito costante in una o più parti del corpo.

Chi ne soffre, sostiene con forte convinzione di avere vermi, ragni, insetti di natura indefinita sotto pelle, nonostante esami e medici dicano tutto il contrario. E per rimuoverli, si provoca lesioni con qualsiasi oggetto tagliente o appuntito trova disponibile, come lamette, coltelli, forbici e punteruoli. Le ferite auto inferte, i lembi di pelle rimossi, capelli e fibre che restano sotto pelle a causa del continuo sfregamento (spesso scambiati per le “antenne” e le zampette dei parassiti), vengono esibiti ai medici come prova dell’infestazione in atto. Chi ne soffre si lava di continuo, applica prodotti sul corpo e fa eseguire ripetute disinfestazioni a casa, che naturalmente non portano ad alcun miglioramento della patologia. Per questa ragione c’è chi addirittura è spinto a bruciare i vestiti e ad abbandonare la propria abitazione. I pazienti sono talmente convinti dell’infestazione che non intendono affidarsi a degli specialisti.

IL PRIMO CASO

Il primo caso noto in letteratura medica di sindrome di Ekbom o parassitosi delirante fu descritto a metà del XIX secolo dal dottor Charcellay De Thours, che visitò una paziente convinta di essere infestata da ragni dopo aver bevuto acqua contaminata da una fonte. Benché nei decenni successivi furono date diverse descrizioni alla patologia, chiamata con vari appellativi come Allucinazioni Cutanee Visive, Ipocondria Monosintomatica e Ossessione Allucinatoria Zoopatica, soltanto nel 1938 il neurologo Karl Axel Ekbom la descrisse accuratamente in tutte le sue caratteristiche. Per questa ragione la parassitosi delirante è nota anche con il nome di Sindrome di Ekbom.

CHI COLPISCE?

La parassitosi delirante o sindrome di Ekbom, interessa prevalentemente persone in tarda età o comunque nella fase antecedente alla senescenza, e nella maggior parte dei casi si tratta di donne. La patologia, come si legge in un articolo pubblicato nel Journal of Pshycopathology, si manifesta in maniera improvvisa, violenta, a seguito di un evento specifico come il contatto con un animale, con i vestiti di un’altra persona o l’assunzione di una sostanza infetta. Dopo di ciò compaiono le prime allucinazioni visive e sensoriali, che spingono a infliggersi lesioni per rimuovere il problema. Curiosamente la condizione può essere indotta nelle persone mentalmente predisposte; è noto il caso di due sorelle anziane che avevano sviluppato il medesimo disturbo abitando nella stessa casa, e quello di un’altra anziana che aveva “contagiato” con la parassitosi delirante altri membri della sua famiglia.

L’incidenza della malattia è maggiore in Europa e in Nord America, in una percentuale che oscilla tra il 5% e il 15%.

COME RICONOSCERLA

La maggior parte delle persone che hanno la sindrome di Ekbom riportano sensazioni che attribuiscono a movimenti di insetti che passano attraverso la pelle o che si muovono all’interno. Questa percezione anormale è chiamata “formicazione” e fa parte dei fenomeni noti come parestesie, che comprendono anche forature o intorpidimento. Sebbene le formiche siano uno dei “parassiti” più frequentemente indicati e danno nomi a termini diversi che sono usati per riferirsi alla sindrome di Ekbom, è anche comune per le persone con questo disturbo dire che hanno vermi, ragni, lucertole e altri piccoli animali. A volte affermano che questi sono invisibili.

Spesso l’aspetto della sindrome di Ekbom è associato a una iper attivazione dell’organismo dovuta al consumo di alcune sostanze. In particolare, la parassitosi delirante in molti casi è dovuta a Sindrome da astinenza nelle persone con dipendenza da alcol o al consumo eccessivo di cocaina o altri stimolanti.

Oltre ai disturbi psicotici, altre alterazioni nella struttura e nel funzionamento del cervello possono spiegare l’emergere di questo disturbo. Le malattie neurodegenerative (tra cui la demenza alcolica) e le lesioni traumatiche al cervello, ad esempio, sono due cause comuni della sindrome di Ekbom.

TRATTAMENTO

Il trattamento più efficace è quello farmacologico e psichiatrico. Insomma benchè sia molto rara è una sindrome che va tratta da specialisti e non ci si può affidare al caso. Come molte delle sindromi che ho descritto in questo blog.

Forse qualcuno si sta chiedendo perchè mi scervello a studiare tutte queste sindromi bizzarre non solo nel nome, ma anche nella sintomatologia. Curiosità, sete di conoscenza sono le risposte che più mi appartengono. Spesso siamo portati a giudicare le stranezze degli altri senza conoscere veramente cosa ci sia alla base. Bene, più conosciamo il cervello, più allarghiamo la rete delle nozioni e più diventiamo consapevoli che ognuno, a modo suo, è lì a combattere la sua battaglia quotidiana con mostri che anche se non vediamo, sono tutt’altro che innocui.

PERCHE’ CI AFFIDIAMO (insieme ad altri 13 milioni di italiani) A MAGHI, VEGGENTI E SENSITIVI…

In questo mondo di debiti, viviamo solo di scandali e ci arrabbiamo, preghiamo, ridiamo, piangiamo e poi leggiamo gli oroscopi…

Cantava Antonello Venditti qualche anno fa. Difficile dargli torto, perché non solo li leggiamo gli oroscopi, ma addirittura ci crediamo e a loro ci affidiamo per prendere decisioni. Sono infatti 13 milioni le persone che solo in Italia si rivolgono a maghi, guru, veggenti e guaritori per conoscere il futuro, dare un senso al presente,  nonché  risolvere questioni che richiederebbero ben altri interventi, ad esempio di tipo medico o psicologico.

Tradotto in cifre un giro d’affari che la Codacons stima intorno agli 8 miliardi di euro l’anno, un vero e proprio business che miete vittime senza distinzione di sorta, età, condizione sociale e reddito.

PERCHE’ CREDIAMO AGLI OROSCOPI

Può essere affascinante pensare che esistano persone con doti eccezionali, capaci di sapere tutto di noi in poco tempo e soprattutto capaci di offrirci una visione radiosa del futuro oppure la soluzione magica e immediata ai nostri problemi.

Così affascinante da affidare a carte, dadi e profezie parte delle nostre decisioni e crederci così tanto, pur consapevoli della loro fallacia e inaffidabilità.

Perché è cosi difficile ignorarli?

La trappola di cui siamo vittime è detta effetto Forer (dal nome dello psicologo che già nel 1948 descrisse il fenomeno): porta a credere, accettare e dare l’approvazione a descrizioni psicologiche sommarie, spesso contrapposte, con dettagli vaghi e che si potrebbero applicare a un gran numero di persone. In parole semplici: ogni individuo posto di fronte a un profilo psicologico che crede a lui riferito, tende a immedesimarsi in esso, nonostante quel profilo sia generico, tale da adattarsi a più persone.

Per dimostrare le sue ipotesi Forer chiese ai suoi studenti di compilare il Diagnostic Interest Blank, un questionario dove venivano raccolte diverse info fra cui hobby, aspirazioni, caratteristiche a cui sarebbe seguita un’interpretazione qualitativa. Dopo una settimana, restituì un quadro della loro personalità, chiedendo di mantenere la riservatezza sulla propria valutazione: perché tutte le valutazioni erano identiche e consistevano in alcune delle seguenti frasi.

– Hai grande bisogno di piacere e di essere ammirato dagli altri

– Hai una grande quantità di doti non utilizzate, che non hai saputo sfruttare a tuo vantaggio

– Disciplinato e controllato al di fuori, tendi a essere internamente insicuro e preoccupato

– A volte hai seri dubbi e ti chiedi se tu stia prendendo la decisione corretta o stia facendo la cosa giusta

– Ti sei trovato a essere imprudente, parlando di te in modo troppo aperto

– A volte sei estroverso, affabile, socievole, altre sei introverso, diffidente e riservato

Dopo aver letto ogni personale descrizione, gli studenti dovevano indicare con un punteggio da 0 a 5 quanto si riconoscessero nelle frasi riportate. La media dei punteggi ottenuti fu 4.26. Questo fenomeno è stato replicato con altri esperimenti e si è potuto verificare che tra l’80 e il 90% delle persone considerano che le affermazioni generali siano molto precise in riferimento a loro stesse.

Certo è che tendiamo ad accettare quelle affermazioni nella stessa misura in cui desideriamo che queste siano reali e ci risultano sufficientemente positive e lusinghiere.

Va considerato che quando incontriamo una credenza che risolve una incertezza, questo ci predispone a confermare e dare per certa la stessa, scartando a priori ogni evidenza contraria. In questo modo si sviluppa una sorta di meccanismo automatico che consolida l’errore originale e conferisce una eccessiva attendibilità alla credenza.

VEGGENTI NORMALI DAI POTERI STRAORDINARI

Cosa spinge persone normali, istruite e con una buona posizione sociale a credere che questi veggenti possano avere dei poteri straordinari che le rendono capaci di vedere e parlare con i defunti, di comprendere una persona e di conoscere il suo passato, il suo presente ed il suo futuro attraverso la lettura della mano, i tarocchi o altre tecniche particolari?

Lo psicologo Richard Wiseman si è occupato di studiare questi fenomeni apparentemente paranormali. Dai suoi studi e dall’incontro con un presunto sensitivo, ha individuato alcune tecniche di base utilizzate da chi si definisce veggente per catturare l’attenzione delle persone, ottenere il loro favore e far credere di conoscere la loro vita ed il futuro.

6 TECNICHE USATE DAI MAGHI PER SAPERSI DIFENDERE

Fanno lusinghe. La maggior parte dei sensitivi tende a fare alle persone dei complimenti (“hai ottime capacità”, “sei un ottimo osservatore”, “sei capace di gestire le situazioni critiche”, “sei attento ai dettagli”) per soddisfare il bisogno umano di essere apprezzati. Questo espediente può indurre le persone ad avere un atteggiamento più benevolo nei confronti del mago e ad abbassare la propria capacità critica.

Sfruttano il meccanismo psicologico della memoria selettiva. La memoria selettiva ci porta a ricordare di più le cose che sono congruenti con le nostre aspettative e con il nostro modo di essere. I maghi fanno molte affermazioni che si riferiscono a caratteristiche diverse e spesso contrapposte: “alcune persone ti definiscono timida, ma non hai paura di dire la tua”, “sei una persona precisa, ma anche disorganizzata in alcune situazioni”-. Le persone sono portate a ricordarsi maggiormente ciò che rispecchia maggiormente la loro personalità e la loro storia e a dimenticare il resto.

Utilizzano la creazione di senso. Siamo portati ad interpretare gli stimoli, ad attribuire un significato specifico anche a informazioni generiche ed ambigue ed in base a questo fenomeno molte affermazioni fatte dai sensitivi possono apparire riferite a sè. Ad esempio, se si parla di “cambiamento in campo immobiliare”, questo potrebbe riferirsi al proprio trasloco o al trasloco di un amico o di un familiare, alla possibilità di ereditare un immobile, alla possibilità di cercare una nuova casa in affitto o di acquistarne una nuova. Inoltre, questo cambiamento potrebbe riferirsi al presente, ma anche al passato e al futuro. Insomma, si apre un ventaglio di possibilità così ampio nel quale ognuno, riflettendo, potrà individuare ciò che si riferisce a sé.

Prestano attenzione alle reazioni delle persone. Solitamente i sensitivi toccano vari argomenti e fanno vari commenti e, studiando le reazioni delle persone, arrivano ad approfondire i temi per loro importanti e a riproporre le giuste informazioni. Possono iniziare accennando possibili problemi di salute, economici, amorosi per osservare quale tema interessa alla persona. Arrivano a capirlo osservando piccoli dettagli. Si può trattare, ad esempio, del fatto che la persona annuisce, anche lievemente, di piccoli sorrisi o espressioni di tristezza, di un cambiamento repentino di espressione o della postura.

Si servono dell’illusione dell’unicità. Spesso tendiamo a considerarci unici e speciali, con caratteristiche fuori dal comune e particolari. In realtà siamo tutti prevedibili. In base a questo principio i maghi spesso propongono affermazioni che sono valide per la stragrande maggioranza delle persone.

Utilizzano scappatoie. Naturalmente può capitare anche ai sensitivi di fare affermazioni sbagliate e a questo punto cercano delle scappatoie. Una delle più diffuse è quella di ampliare un’affermazione giudicata sbagliata in modo da renderla ancora più vaga e, quindi, potenzialmente riferibile ad una molteplicità di situazioni, aumentando così la probabilità di individuare qualcosa che possa riguardare la persona. Ad esempio, se il sensitivo dice che nella vita della persona c’è qualcuno con un nome che inizia con la B, ma non riceve conferma, potrebbe dire che in realtà potrebbe trattarsi anche di una V. Un’altra tecnica consiste nell’invitare la persona a riflettere su quanto detto perchè probabilmente l’informazione è corretta, ma riguarda qualcosa che in questo momento non le viene in mente e, solitamente, “chi cerca trova”. Infine, se si fanno affermazioni più specifiche che si rivelano errate, si può utilizzare lo stratagemma di dire che si stava parlando in modo metaforico. Ad esempio, se si dice ad una persona che ama viaggiare e questo non è vero, le si potrebbe dire che il viaggiare va inteso metaforicamente, nei termini di “viaggiare con la fantasia”, “essere aperta ai cambiamenti”, “ricercare nuovi stimoli”.

Il consiglio dunque che mi sento di dare non è quello di smettere di leggere l’oroscopo, ma di consultarlo. Il fato non ha memoria, come i dadi e la roulette. Dunque perché privarci di una scelta consapevole, che seppur si dimostrerà errata, ci avrà permesso di essere noi i veri artefici del nostro destino?

Oltre che farà sicuramente bene anche al nostro portafoglio…

AL VOLANTE E A DIGIUNO DIVENTIAMO TUTTI PIU’ AGGRESSIVI… VI SIETE MAI CHIESTI PERCHE’?

Quando siamo alla guida di un’auto, diventiamo più aggressivi e talvolta anche inaspettatamente violenti. Vi siete mai chiesti perché?

Lo stress al volante e il conseguente sfogo con reazioni aggressive è tra i casi più studiati dagli etologi di violenza urbana. Tanto che è stato dato un nome tecnico alla questione: road rage (rabbia da strada). Secondo gli psicologi evoluzionisti, questo tipo di collera segue uno schema: inizia sempre con insulti e minacce verbali e gestuali, spesso enfatizzati da fari e clacson.

Per fortuna, solitamente, ci si ferma qui. L’auto è una scatola protettiva, e visto che gli esseri umani rifuggono il contatto con gli sconosciuti, difficilmente scendono dal veicolo. Ma ci sono situazioni limite: una di queste è la violazione delle norme implicite della convivenza cittadina. Ci si può infuriare, per esempio, per un parcheggio rubato e perché la mancata cortesia da parte dell’altro automobilista viene vissuta come un’ingiustizia che va vendicata.

Nella nostra specie la vendetta non è solo punitiva ma è spesso soprattutto riparativa: serve a ricomporre l’ordine sociale. E per questo non si esita a metterla in atto, costi quel che costi.

QUANTO E’ DIFFUSA LA ROAD RAGE

Secondo studi internazionali oltre il 50% degli automobilisti è stato coinvolto in almeno un episodio di rabbia al volante. E anche se il 70% di coloro che li hanno provocati è consapevole di aver generato problemi a guidatori o passanti, solo il 14% mostra qualche forma di pentimento, gli altri danno a se stessi l’alibi del cattivo umore.

In fondo, è proprio così: l’aggressività in auto dipenderebbe proprio dal sovraccarico cognitivo, vale a dire dall’attenzione ai numerosi segnali necessari per guidare che attivano nel nostro cervello le stesse aree che, fino a qualche migliaio di anni fa, si attivavano nelle situazioni in cui si poteva incontrare un predatore in agguato.

Gli studi hanno dimostrato che i più soggetti alla road rage sono giovani uomini che vivono in centri urbani oltre i 10 mila abitanti, soprattutto se ulteriormente stressati per ragioni di lavoro.

TIGRI DI CITTA’

Il road rage è soltanto il caso più studiato di reazioni aggressive in caso di stress. Ce ne sono molti altri e tutti legati all’ambiente urbano. Le auto che incrociamo da ogni lato sono come tigri dai denti a sciabola in agguato nella boscaglia.

Gli appartamenti nei grandi condomìni sono rifugi in cui si riuniscono clan pronti ad affrontarsi tra loro. La metropolitana affollata è come la gabbia in cui circolano i topi di laboratorio, con la differenza che mentre i topi a disagio arrivano ad azzannarsi tra loro, noi ci limitiamo a desiderare che la nostra fermata arrivi presto, e in qualche caso non esitiamo a menare qualche gomitata per difendere pochi centimetri residui di spazio.

Nessuna esagerazione: lo dicono etologi e psicologi sociali. La città è una giungla. O meglio, un ambiente al quale la specie umana non si è ancora completamente adattata, capace di stimolare i nostri peggiori istinti (le reazioni aggressive).

Siamo infatti programmati per vivere in piccoli gruppi all’interno dei quali si formano forti legami sociali, proprio come avviene ancora oggi nelle comunità di cacciatori-raccoglitori, ma anche nei paesini di campagna dove tutti si conoscono. Peccato che oltre la metà della popolazione mondiale viva però in centri urbani medio-grandi. È quindi normale che le situazioni di affollamento in cui l’individuo è costretto a convivere con sconosciuti, nei confronti dei quali ognuno di noi nutre un’istintiva diffidenza, diventino a rischio.

In città quindi non sbagliamo se diciamo che diventiamo più pericolosi.
Le ricerche (come quelle appena citate sulla road rage) dimostrano che la ragione è che gli urbanizzati sono molto più stressati. Anzi, secondo i ricercatori dell’Università di Mannheim (Germania), lo stress da città lascia un marchio nel cervello.

Se si mettono delle persone in condizioni di stress sociale, infatti, una piccola zona cerebrale (l’amigdala) si attiva di più se la persona è cresciuta in città. E si attiva di più anche la corteccia cingolata anteriore. L’amigdala è una struttura cerebrale grande come un pisello che si trova in entrambi i lobi temporali, in profondità, e svolge la funzione di sensore del pericolo, provocando una reazione nell’organismo non appena viene percepita una minaccia. La corteccia cingolata è anch’essa coinvolta nell’elaborazione della risposta al pericolo. Risposta che, ovviamente, può essere aggressiva.

COME LA METTIAMO CON IL CIBO?

A renderci più reattivi e aggressivi è anche la fame. Non a caso, tutti, se costretti al digiuno, diventiamo intrattabili. La colpa però non è vostra: a provocare parte delle scenate e urla isteriche in orario da pasto sono i bassi livelli di glucosio nel sangue.

Il controllo degli stimoli aggressivi richiede energia, e il glucosio è l’unica fonte energetica accettata dal nostro cervello. Se non ne produciamo abbastanza, la rabbia ha la meglio sulle buone maniere: è scientificamente dimostrato.

In un recente studio, i ricercatori della Ohio State University hanno monitorato i livelli di aggressività di entrambi i membri di 107 coppie di coniugi per tre settimane. Ai soggetti sono state fornite bamboline voodoo con 51 spilloni, per rappresentare la “dolce” metà, ed è stata data la possibilità di assordare il coniuge con rumori più o meno molesti. Chi aveva livelli di glucosio nel sangue più bassi ha inflitto più punture nelle bambole, e torturato il partner con rumori più lunghi e fastidiosi, di chi mostrava livelli di zucchero nella norma.

Altre ricerche hanno dimostrato, per esempio, che chi beve limonata zuccherata si comporta, nei minuti seguenti, in modo più pacifico di chi ha bevuto un placebo. Molto dipende, naturalmente, anche dalla velocità e dall’efficienza con cui l’organismo metabolizza il glucosio. Ecco perché, a parità di ore di digiuno, alcuni risultano più simpatici di altri.

TUTTA COLPA DEI NEURONI

Nello specifico della rabbia i ricercatori del Karolinska Institutet in Svezia hanno individuato il gruppo di neuroni che fa scattare i comportamenti aggressivi… nei topi.

In realtà oltre ad averli scoperti, sono riusciti a manipolarli, arrivando a controllare il comportamento dei roditori.

I ricercatori svedesi hanno rivolto la loro attenzione a un piccolo gruppo di neuroni, quelli del nucleo premamillare ventrale, dell’ipotalamo, la centralina del cervello che controlla molti degli istinti legati ai bisogni fondamentali, dal sonno all’appetito. Sarebbero proprio queste cellule a svolgere un ruolo chiave nei comportamenti aggressivi.

Studiando le interazioni tra topi maschi, gli scienziati avevano già notato che gli animali che si dimostravano più aggressivi verso un nuovo compagno messo nella loro gabbia erano anche quelli che avevano una maggiore attività nei neuroni del nucleo premamillare ventrale dell’ipotalamo.

Usando tecniche di optogenetica, che consentono di “accendere” o “spegnere” particolari gruppi di cellule in topi geneticamente modificati, gli scienziati sono anche riusciti a controllare questo comportamento, rendendo aggressivi i topi anche in situazioni in cui normalmente questi animali non attaccano, o al contrario “calmandoli” quando l’aggressione era già scattata.

Non solo. Per studiare la dominanza sociale si utilizza il  cosiddetto “test del corridoio”, in cui due topi vengono fatti avanzare uno verso l’altro in un tubo stretto, per determinare qual è quello più in alto nella gerarchia. Controllando i neuroni del nucleo premamillare, i ricercatori sono riusciti a scambiare la gerarchia, e a trasformare il topo dominante in subalterno e viceversa.

Conoscendo meglio i comportamenti legati all’aggressione si potrà arrivare un giorno a controllarla? Questa è la domanda a cui la scienza non ha ancora una risposta, ma che interessa tutti, in un modo o in un altro. Aggressori e aggrediti, automobilisti e pedoni, chi è calmo e chi è sempre sotto stress. Nel frattempo, ci possiamo sempre sfogare su bamboline voodoo, sapendo che almeno lì danni non ne facciamo…