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CONTRO LO STRESS DELL’ORA DI PUNTA, ARRIVA LO PSICOLOGO DEL TRAFFICO

Non lo trovi ai semafori a dispensare consigli, o a un incrocio a sostenere il vigile urbano mentre cerca di dirigere la circolazione, anche se si occupa del comportamento alla guida e di tutti i processi psicologici coinvolti. Di chi si tratta? Dello psicologo del traffico, il professionista che si occupa di tutelare la salute pubblica nell’ambito della circolazione stradale, al fine di ridurre gli incidenti stradali e aumentare la sicurezza.

La psicologia del traffico è una branca della psicologia che studia il comportamento degli utenti della strada, i processi psicologici sottostanti a questo processo e la relazione tra comportamento ed incidenti stradali. Ed è particolarmente sviluppato nell’Europa centrale, dove raggiunge standard molto elevati, in particolare in Germania e in Austria, ma è ben radicato anche in altri paesi come Spagna, Francia e Australia. I temi tipici affrontati dalla psicologia del traffico riguardano, ad esempio, gli effetti di diversi fattori come alcol, droghe o farmaci, affaticamento e stanchezza, sulle capacità di guidare in sicurezza; le cause dell’alto rischio di incidenti stradali dei conducenti giovani neopatentati; il ruolo dei processi cognitivi quali l’attenzione, il sovraccarico cognitivo, ecc.; le cause della guida a velocità inadeguata o l’assunzione di comportamenti a rischio; i fattori di personalità che possono concausare incidenti stradali.

ROSSO, GIALLO E VERDE

Un esempio pratico. I colori del semaforo, rosso, gialle e verde, non sono la scelta ottimale. Non sono riconoscibili dalle persone daltoniche e in certe condizioni di luce anche chi non litiga con i colori fa fatica a metterli a fuoco.

Lo psicologo del traffico Karl Peglau, dell’Istituto di Medicina del Traffico di Berlino dove studiava come rendere più sicure le strade analizzando la psicologia del guidatore e del pedone per ridurre la possibilità degli incidenti, associò ai colori, una forma geometrica che suggeriva in maniera inequivocabile di fermarsi o procedere. I due omini, AMPELMANN, uno rosso a piedi uniti e a braccia aperte che impone di fermarsi e uno verde atletico che si precipita in strada per attraversarla, danno direttive più chiare.

Questo suggerimento di Peglau, noto a tutti, aiuta in modo inequivocabile a capire se fermarsi o sgombrare la strada ai semafori.

ATTENZIONE E SICUREZZA

Cosa dire dell’ABS e degli airbag? Sono sufficienti da soli a rendere la guida sicura? Sicuramente, ma lo psicologo del traffico Max Dorfer, precisa che a determinare la sicurezza della guida interviene un oggetto, che pesa circa un chilo e mezzo ed è collocato tra le due orecchie e non si tratta di un optional. Il cervello! Determina la condotta di guida, la scelta del veicolo, il suo uso, la scelta della RCA e, in definitiva, anche la propensione agli incidenti.

“In Italia comincia a farsi strada, nel vero senso della parola, la convinzione che al tema della sicurezza, un corretto approccio non può che essere multidisciplinare (conoscenza dei processi percettivi, attentivi, emotivi, mnestici, di psicologia sociale e del lavoro, di psicologia dello sviluppo e dell’educazione, di psicologia clinica, ergonomia). Inoltre, è necessario adottare solo misure di cui è documentata l’efficacia, basate su solide evidenze scientifiche. Non siamo ancora ai livelli dei paesi più avanzati come la Danimarca, la Germania o la Francia, ma ci stiamo avvicinando”.

GLI EFFETTI DEL TRAFFICO SULLA PSICHE

Le città, con la loro abnorme concentrazione di stimoli percettivi (uditivi, visivi e cinestesici) sono un ambiente altamente complesso e caotico, in grado di suscitare una gamma infinita e mutevole di stati d’animo. Tale aspetto è legato soprattutto alla influenza degli effetti della vita cittadina sui normali ritmi biologici e circadiani, che risultano sempre più privi di pause fra un’attività e l’altra. Si calcola che la tendenza delle persone è suddividere mentalmente la giornata in unità di tempo di circa 30 minuti-un’ora da dedicare ad ogni impegno per riuscire a farvi rientrare tutto ciò che si ritiene importante, con conseguente esposizione ad inevitabile stress dato dalla impossibilità che questa situazione ideale si realizzi.

Queste unità di tempo si fanno però relative e acquistano un valore diverso a seconda del contesto in cui ci troviamo; girando per il centro storico di una città nell’ora di punta uno spazio vuoto di 3 metri lungo il marciapiede può sembrare uno spazio infinito e qualcosa per cui si diventa disposti a lottare con il coltello fra i denti; lo stesso vale per una frazione temporale di 5 minuti che, se trascorsi in attesa, equivalgono ad un lasso di tempo enorme perchè sinonimo di imperdonabile “spreco”.

Città significa soprattutto traffico, ovvero un micro ambiente a parte, in cui la pressione psicologica e l’iperstimolazione ambientale si fanno ancora più concentrati, schiacciando progressivamente il nucleo individuale in uno spazio sempre più ridotto (l’automobile) che diviene per ognuno una sorta di ambiente privato inviolabile e gelosamente custodito.

Ecco gli aspetti psicologici del traffico si fanno rilevanti.

Effetto privacy: in macchina si trasporta di tutto, ci si mette le dita nel naso pensando di non essere visti, oppure si allestisce all’occorrenza una sorta di ufficio o monolocale mobile. Insomma, l’automobile è sempre più uno spazio in cui si finisce per trascorrere molto tempo, un luogo sempre più a immagine e somiglianza del proprietario e che ne riflette la personalità.

Alterazione del normale rapporto uomo-ambiente: si stima che il nostro organismo sia fatto per muoversi nel proprio ambiente ad una velocità ideale inferiore agli 8 km/h; questa velocità infatti rende possibile un rapporto uomo-ambiente armonico, in cui le funzioni di osservazione, orientamento, attenzione trovano il miglior livello di funzionamento con conseguenti effetti benefici sui vissuti emotivi. Basti pensare al benessere offerto dai ritmi di vita della campagna, che vengono ricercati sempre più spesso da chi vive in città e risulta ormai assuefatto ad un’alterazione cronica dei normali ritmi biologici.

Scorciatoie percettive: la velocità degli spostamenti cittadini e il sovraccarico di stimoli presente nell’ambiente urbano inducono nelle persone il bisogno di “economizzare” sui tempi di attenzione; di conseguenza mentre viaggiamo in auto tendiamo a dare rapide occhiate nel nostro campo visivo su cui basare la nostra valutazione e le nostre scelte immediate. Queste “scorciatoie” percettive basate sulla fretta non di rado possono indurci in errore esponendoci anche a rischi.

Sottostima del rischio e delle conseguenze del proprio comportamento: confortati anche dalla percezione di maggiore libertà e anonimato offerti dall’abitacolo si può essere portati, in mezzo ad una folla di altri automobilisti, a compiere scorrettezze, a inveire contro altre persone sfogando le proprie frustrazioni o addirittura a porre in essere condotte lesive o delinquenziali senza percepire il danno reale causato alla vittima. Il mezzo infatti altera sensibilmente il rapporto comportamento-effetto. E’ il caso tipico della pirateria stradale, dove le caratteristiche dell’automobile fanno prevalere gli istinti negativi (vigliaccheria, egoismo) su quelli positivi e prosociali (solidarietà, onestà).

Regressione: in auto, e soprattutto in condizioni di pressione psicologica causata dal traffico intenso, le persone tendono ad avere una caduta dei normali livelli di performance cognitiva, divenendo prigionieri di processi emotivi di tipo ansioso che abbassano drasticamente la resistenza alla frustrazione. Di conseguenza in queste circostanze è una tendenza frequente esprimere i peggiori istinti e le emozioni più primitive (aggressività, prevaricazione, mancanza di rispetto) sia come modalità di linguaggio analogico (“io ho la macchina più grande e quindi comando io”) sia come effetto di dinamiche collettive che trasformano il singolo rispetto alla sua dimensione individuale.

In altre parole, quando ci mettiamo alla guida ci trasformiamo e spesso sottovalutiamo i rischi così protetti dalla nostra automobile. Ecco perché studiare i comportamenti legati al traffico può fare la differenza e come dice lo psicologo del traffico americano Dwight Hennessy: “Non siamo poi così diversi. Non importa il paese o la cultura di appartenenza. Le strade potrebbero essere diverse, le macchine potrebbero essere differenti. Le leggi potrebbero essere univoche ma alla guida tutti noi operiamo in virtù degli stessi processi psicologici.”

Conoscere questi processi, ci aiuta a contenerli e in alcuni casi persino a prevenirli. Non a caso, ti chiedo, fra gli effetti elencati sopra, in quanti ti riconosci, quali metti normalmente in atto anche senza accorgerti? E conosci a quali rischi ti esponi, attuandoli?

RISCHIO: LO CERCHI O LO EVITI?

C’è chi spende in modo scellerato, incurante del domani. Qualche esempio famoso? Kim Basinger, l’icona sexy degli anni ’80, fu costretta a dichiarare bancarotta e a vendere parte di una città che aveva comprato per 20 milioni dollari. Nicolas Cage, l’acquisto smodato di Lamborghini, animali rari e castelli lo ha portato a dilapidare un patrimonio di oltre 150 milioni di dollari, insieme a due isole caraibiche e yacht.

E poi c’è chi pur di non tirare fuori un centesimo, si comporta in modo creativo. Il cantante ultra-miliardario Rod Stewart dopo aver cenato in un ristorante di Los Angeles, tornato a casa ha controllato accuratamente il conto. Quando s’è accorto di aver pagato una bottiglia di acqua pur non avendola consumata è tornato al locale per farsi restituire i soldi. Paul Getty, petroliere e miliardario, quando suo nipote venne rapito in Italia nel 1973, si rifiutò di pagare il riscatto, fino a quando al giovane rampollo non venne tagliato un orecchio.

Fra i due estremi ci sono i parsimoniosi, un nome fra tutti il mercante di Venezia, che guadagnando con il commercio marittimo, per prudenza non impiegava mai tutte le sue imbarcazioni sulla stessa rotta, dirigendole invece verso quattro diverse destinazioni. Così facendo riduceva i rischi: la possibilità che le navi venissero colpite tutte simultaneamente da un evento avverso (pirati, tempeste, malattie…), perdendo il carico o finendo distrutte, si abbassava drasticamente. Per essere precisi, ogni imbarcazione aveva una probabilità su 4 di non tornare dal viaggio; la probabilità che il mercante perdesse tutto e finisse nei guai con il banchiere che lo aveva finanziato, scendeva a 1 su 256.

AVVERSIONE O PROPENSIONE AL RISCHIO?

Scomodando cantanti, attori e uomini di affari, abbiamo introdotto il concetto di avversione e propensione al rischio: atteggiamento che cambia a seconda dei contesti e della persona. Si può infatti essere propensi a rischiare alla guida di un’auto, ma prudenti in Borsa, praticare sport estremi ma non apprezzare l’incertezza sentimentale, recarsi al casinò con frequenza ma sottoporsi meticolosamente a check up medici.

Quale atteggiamento assumiamo di fronte al rischio, dipende da molti fattori e la materia che se ne occupa prende il nome di finanza comportamentale (branca degli studi economici che indaga i comportamenti dei mercati finanziari), fondata dal premio Nobel per l’economia Daniel Kahneman e dal collega prematuramente scomparso Amos Tversky.

In altre parole la perdita di una somma, qualunque essa sia, pesa nella nostra mente, soggettivamente, molto più della vincita di quella stessa somma. Precisamente, il rapporto di avversione alla perdita oscilla tra 2,25 a 2,5: a fronte di una perdita di 100 euro, occorrerà guadagnare fra 225 e 250 euro perché il nostro cervello ritrovi serenità.

Traduciamo il tutto in un esempio.

Immagina di essere convocato nell’ufficio del capo e di venir informato che avrai un aumento di 1000 euro. Quanto valuteresti l’impatto psicologico positivo della notizia, su una scala da 1 a 10?

Ora immagina che ti si comunichi non un aumento, ma una riduzione dello stipendio di 1000 euro. Per la maggior parte delle persone l’impatto psicologico negativo di una notizia del genere, è maggiore rispetto a quello positivo collegato all’aumento. Non tutti infatti sono avversi e propensi alle perdite nello stesso modo. Per esempio, coloro che per professione si assumono rischi nei mercati finanziari tollerano meglio le perdite: quando ai partecipanti a un esperimento venne detto di “pensare come trader”, essi diventarono meno avversi e la loro reazione emozionale alle perdite si ridusse sensibilmente.

PERCHE’ ABBIAMO BISOGNO DI PROVARE IL BRIVIDO DEL RISCHIO

Sta prendendo sempre più piede il fenomeno dei Sensation Seekers, letteralmente “cercatori di emozioni estreme” il quale, strettamente correlato al concetto di rischio, pone in evidenza la motivazione che sollecita il singolo individuo alla pratica di uno sport estremo. Persone che il rischio lo cercano di continuo, anzi diventa una sorta di dipendenza da adrenalina che li induce ad alzare sempre più l’asticella emozionale.

Infatti con tale espressione si fa riferimento a individui che nutrono un’attrazione particolare per attività rischiose, di qualunque genere, che vengono esercitate principalmente con l’obiettivo di sfidare la morte. Il concetto di sensation seekers si deve a Zuckerman, il quale mediante esperimenti sulle ripercussioni a lungo termine dell’impoverimento di stimoli (deprivazione sensoriale) aveva notato che alcuni individui presentavano la tendenza a sopportare le situazioni monotone a cui venivano sottoposti, meglio di altri che, al contrario, tendevano a diventare subito inquieti, provando sensazioni di forte avversione in assenza di stimoli.

Secondo quanto ipotizzato da Zuckerman, le differenze dipendevano da una particolare disposizione comportamentale. I sensation seekers sono risultati essere persone relativamente giovani, con caratteristiche di personalità impulsive ed a tratti aggressive, molto curiose, anticonformiste e con livelli di ansia relativamente bassi. Attraverso condotte trasgressive, mettono alla prova la loro capacità di controllo degli eventi ed hanno come obiettivo il superamento della noia che caratterizza la loro vita quotidiana (ad esempio, guida automobilistica spericolata, assunzione di droghe e alcool che riducono i freni inibitori). Anche investire in modo azzardato o buttarsi in spese folli (e non solo fare sport estremi), permette di allontanare il fattore noia. Almeno per un po’.

DOVE TI RITROVI?

Probabilmente ti starai domandando qual è il tuo atteggiamento predominante fra avversione e propensione al rischio. Ti sottopongo alcuni quesiti proposti dallo stesso Kahneman. Concentrati solo sull’influenza soggettiva della possibile perdita o sul guadagno che ne deriva e rispondi sinceramente:

1) Considera un’opzione di rischio al 50-50 in cui perdi 10 euro. A partire da quale guadagno l’opzione ti sembra allettante?

2) Cosa pensi dell’eventualità di perdere 500 euro con il lancio di una moneta? Quale guadagno la compenserebbe?

3) E una perdita di 2000 Euro?

Facendo questo esercizio avrai notato che il tuo coefficiente di avversione alla perdita tende ad aumentare, anche se non in misura enorme, a mano a mano che aumenta la posta in gioco. Nessuna scommessa sarebbe allettante se la potenziale perdita fosse rovinosa. In tali casi il coefficiente di avversione alla perdita è molto elevato: vi sono rischi che non accetteresti mai, indipendentemente da quanti milioni potresti vincere se fossi fortunato.

RISCHIO E CONDIZIONAMENTO

Che la nostra propensione sia pro o contro i rischi, ciò che è importante è avere bene in testa gli obiettivi che si vogliono raggiungere, più che farsi guidare dall’emozionalità del momento. Per ottenere risultati migliori è fondamentale essere consapevoli del modo in cui l’avversione alla perdita o la propensione al rischio incidono sulle decisioni a lungo e a breve termine.

Un errore potrebbe essere quello di immaginare il futuro sulla base dell’esperienza del passato. Il passato, purtroppo, contiene informazioni solo sul passato… e il rischio è quello di fare la fine del “Tacchino Induttivista” di Bertrand Russell e Karl Popper.

Russell fa l’esempio del tacchino accudito con estrema cura che ogni giorno riceve acqua e cibo. Così gradualmente si abitua alla confortevole situazione ed aumenta la sua fiducia e sicurezza. La fiducia del tacchino cresce giorno dopo giorno finché si interrompe bruscamente (e tragicamente, almeno dal punto di vista del tacchino) il Giorno del Ringraziamento!

Il povero tacchino era servito a Bertrand Russell per dimostrare i rischi del pensare che il passato abbia tutte le informazioni utili per il futuro. E’ lo stesso rischio che corriamo anche noi quando ci cimentiamo nel fare previsioni (di qualunque tipo). Insomma, siamo macchine fatte per sbagliare… O meglio, siamo macchine perfettamente evolute per sopravvivere nel mondo naturale, ma molto meno adatte al mondo artificiale e complesso del lavoro. Saperlo non ci salva, ma ci aiuta.

TRE CONSIGLI PER PRENDERE DECISIONI RISCHIANDO IL GIUSTO

  1. Non pensare d’avere sempre ragione. L’overconfidence è il motore che spinge a osare, il segreto dei grandi imprenditori e di tutti gli uomini e le donne di successo. Meglio non esagerare con la fiducia sulla propria capacità di giudizio, la storia è piena di esperti che hanno commesso grossolani errori. Il direttore della Metro Goldwin Mayer aveva previsto un fiasco clamoroso per il film “Via col vento”, il direttore artistico della Decca aveva pronosticato il sicuro insuccesso delle “band che suonano con la chitarra elettrica”, Beatles compresi.
  2. Non cercare conferme alle tue scelte. Siamo dotati di potenti sistemi di protezione della nostra autostima: se, una volta compiuta una scelta, incappassimo in informazioni che la indebolissero ci sentiremmo stupidi, e nessuno vuole sentirsi stupido. Al contrario, dobbiamo mettere alla prova le nostre convinzioni. Le certezze non esistono, la ricerca di notizie che confermino le nostre idee porta a trascurare la veridicità e qualità delle notizie ma, soprattutto, porta ad ignorare le notizie che negano quanto pensiamo! Meglio un sano dubbio che una insana certezza.
  3. Non seguire il gregge. Si può seguire la maggioranza solo in poche occasioni, magari in vacanza quando si è indecisi sulla scelta del ristorante. Capita troppo spesso che gli “altri” abbiano scelto imitando a loro volta il comportamento di altri… Resistete alla tentazione di sentirvi al sicuro solo perché “così fan tutti”.

SE SBAGLI A PRENDERE DECISIONI, PUOI DARE LA COLPA ALLA (TUA) IRRAZIONALITA’… MA NON TUTTO IL MALE VIENE PER NUOCERE

Sbagliamo in continuazione. Sbagliamo in modo ricorrente e sistematico. Sbagliamo più di quanto crediamo. Sbagliamo perché per arrivare in fretta a delle conclusioni, lasciamo fare all’istinto, all’irrazionalità (a quello che è stato definito dal premio Nobel Daniel Kahneman, il papà dell’economia comportamentale), al cervello veloce.

E di errori, quando siamo occupati a prendere decisioni, ne facciamo davvero tanti. Ne sono stati contati oltre cento, 188 per essere precisi. Vere e proprie trappole mentali, che per riuscire a prevenire, gestire e controllare occorre conoscerne punti di forza e di debolezza.

Ecco le più ricorrenti ma anche le più subdole, e alcuni segreti su come rendere agli errori vita difficile.

EFFETTO FRAMING

Siamo fortemente condizionati dal modo in cui ci viene presentato un problema. Un pasto abbondante presentato in un piatto piccolo è più appagante di uno pasto scarso contenuto in un piatto grande, anche a parità di quantità.

Esempio

Quando presenti delle opzioni o chiedi agli utenti le loro esperienze durante l’utilizzo di un prodotto, un’app, un servizio che offri, fai attenzione a come inquadri la domanda.

Cosa ti è piaciuto / non ti è piaciuto di questo prodotto, può indurre le persone a concentrarsi solo sugli aspetti positivi o negativi del prodotto, portando a falsi positivi o negativi.

Un modo neutro di porre la medesima domanda potrebbe invece essere Puoi descrivere l’ultima volta che hai usato questo prodotto? O Come ti senti quando usi questo prodotto? Impostando la domanda in questo modo sarà più facile ottenere risposte imparziali e non viziate da bias ed euristiche, ossia da trappole mentali.

BIAS DI CONFERMA

Questo è uno degli errori più cattivi. E’ estremamente comune e difficile da correggere.

Ci piacciono i dati che confermano le nostre ipotesi, le nostre credenze e siamo portati a scartare quelli che le sfidano o le condannano.

Esempio

Chiedere: Hai mai considerato di eseguire l’azione X tramite l’app Y e ottenere una risposta del tipo Sì! Tutta la settimana!. Non dovrebbe essere considerata una buona risposta, perché molto molto lontana dalla realtà.

Quando ottieni una risposta positiva per qualcosa, controlla e ricontrollala. Chiediti perchè la persona abbia intrapreso tale azione, ad esempio. Potrebbe non aver avuto altre opzioni…

Inoltre informati sulle volte in cui ha utilizzato quell’applicazione o quel prodotto, chiedi prova che sia realmente così. Ci potrebbe essere la possibilità che ha dato quel tipo di conferma solo per farti piacere o per eludere domande più specifiche. Se ci fai caso, quante volte tu stesso hai risposto con un sì enfatico, pur di chiudere un discorso?

SENNO DI POI

Al fine di creare sincronicità e ordine, cerchiamo involontariamente di trovare ragioni e spiegazioni per eventi accaduti nel passato, pur senza avere alcuna prova fattuale.

Esempio

Quando conduciamo ricerche, spesso chiediamo alle persone di scavare nel loro passato per trovare esempi e prove aneddotiche. E spesso quando approfondiamo il perché, sentiamo diverse ragioni su come hanno affrontato determinate difficoltà / intrapreso determinate azioni.

Un negoziante si potrebbe lamentare del fatto che la sua attività non funziona bene a causa dell’arrivo di Internet che induce la clientela a comprare online anziché recarsi di persona nel negozio. Quindi, porre la contro domanda, ossia perché non utilizzava anche lui l’e-commerce, si potrebbero ricevere risposte sorprendenti: I siti non si prendono cura dei clienti e se c’è qualche problema con il prodotto è il marchio a subire il danno maggiore. Questa è una chiara indicazione che il negoziante non è davvero a conoscenza di come funziona l’e-commerce e del fatto che i clienti hanno la possibilità di restituire articoli danneggiati e fornire recensioni ai venditori.

FALLACIA DEI COSTI SOMMERSI

Più denaro investiamo, più diventa difficile abbandonare un progetto anche quando questo si rivela poco vantaggioso. Proprio come avviene al casinò, tendiamo a puntare somme più grandi, via via che perdiamo…

Esempio

Quando investiamo tempo e/o denaro in un progetto, quel tempo e quel denaro possono diventare un problema più che una risorsa. Proprio perché ne abbiamo già investito tanto, abbiamo la tendenza a non mollare, ad immetterne dell’altro per non perdere quanto già investito.

Per evitare questa trappola è importante bilanciare i nostri sforzi e le nostre ricompense, fra quanto investito e gli obiettivi raggiunti. Sarà così facile capire se si è ancora in credito o irrimediabilmente in debito e lasciare la nave!

POSIZIONE SERIALE

Se il tuo nome inizia con la M e fa parte di un elenco in ordine alfabetico, con molta probabilità il tuo nome non verrà notato.

E’ la tendenza di una persona a ricordare meglio il primo e l’ultimo oggetto di una serie, rispetto quelli in mezzo. Il termine è stato coniato da Hermann Ebbinghaus, e si riferisce alla constatazione che l’ accuratezza del richiamo varia in funzione della posizione di un oggetto all’interno di un elenco. Quando viene chiesto di richiamare un elenco di elementi in qualsiasi ordine, le persone tendono a iniziare il richiamo con la fine dell’elenco.

ILLUSIONE DELLA TRASPARENZA

Tendiamo a sopravvalutare la misura in cui gli altri sanno cosa stiamo pensando.

Esempio

Nelle interviste, molti partecipanti provano a trasmettere le proprie emozioni attraverso il linguaggio del corpo, le pause e altri segnali non verbali. L’illusione della trasparenza rende loro difficile sapere se il messaggio viene trasmesso correttamente.

Ciò significa che abbiamo bisogno di un meccanismo diverso per capire se ci stiamo perdendo alcuni di questi aspetti che potrebbero non essere colti nell’intervista. Ecco perché è importante fornire un feedback positivo. Può essere semplice come: Quindi, da quello che hai detto, è come se ti sentissi così riguardo a questa funzione, correggimi se sbaglio.

Spesso rimarrai sorpreso nel sapere che molto di ciò che è stato detto, è stato interpretato in modo totalmente differente.

DISTORSIONE IMPLICITA

Il pregiudizio implicito è davvero difficile da sradicare poiché è stato introiettato nella nostra coscienza attraverso i media, le persone intorno a noi, l’educazione e l’ambiente nel corso del tempo.

Esempio

Può accadere che quando parliamo con persone appartenenti a specifici gruppi demografici, razziali o etnici di cui abbiamo già idee preconcette, siamo portati  a comportarci in modi diversi da quelli che avremmo se non avessimo quegli stessi pregiudizi (come essere eccessivamente educati con le persone disabili quando preferiscono essere trattati come persone normali).

È sempre importante ricordare che il nostro dovere è cercare di capire veramente cosa sta succedendo nella mente dei nostri interlocutori, anche se ciò significa silenzi imbarazzati o piccoli disaccordi.

 

In sintesi, i pregiudizi che puoi eliminare per migliorare il tuo processo decisionale ma anche la vita di tutti i giorni:

  1. Effetto framing: il modo in cui è posta la domanda, può influenzare la risposta
  2. Bias di conferma: tendiamo a cercare solo prove a conferma della nostra ipotesi
  3. Distorsione del senno di poi: tendiamo a trovare ragioni a sostegno delle azioni e delle decisioni prese nel passato
  4. Fallacia dei costi sommersi: tendiamo a difendere le perdite più di quanto dovremmo
  5. Effetto posizione seriale: ricordiamo di più gli elementi a fine/inizio di una lista, piuttosto che quelli nel mezzo
  6. Illusione di trasparenza: sopravvalutiamo quanto gli altri stanno pensando
  7. Distorsione implicita: tendiamo a fare associazioni inconsce in base a preconcetti positivi e negativi

PERCHE’ CI AFFIDIAMO (insieme ad altri 13 milioni di italiani) A MAGHI, VEGGENTI E SENSITIVI…

In questo mondo di debiti, viviamo solo di scandali e ci arrabbiamo, preghiamo, ridiamo, piangiamo e poi leggiamo gli oroscopi…

Cantava Antonello Venditti qualche anno fa. Difficile dargli torto, perché non solo li leggiamo gli oroscopi, ma addirittura ci crediamo e a loro ci affidiamo per prendere decisioni. Sono infatti 13 milioni le persone che solo in Italia si rivolgono a maghi, guru, veggenti e guaritori per conoscere il futuro, dare un senso al presente,  nonché  risolvere questioni che richiederebbero ben altri interventi, ad esempio di tipo medico o psicologico.

Tradotto in cifre un giro d’affari che la Codacons stima intorno agli 8 miliardi di euro l’anno, un vero e proprio business che miete vittime senza distinzione di sorta, età, condizione sociale e reddito.

PERCHE’ CREDIAMO AGLI OROSCOPI

Può essere affascinante pensare che esistano persone con doti eccezionali, capaci di sapere tutto di noi in poco tempo e soprattutto capaci di offrirci una visione radiosa del futuro oppure la soluzione magica e immediata ai nostri problemi.

Così affascinante da affidare a carte, dadi e profezie parte delle nostre decisioni e crederci così tanto, pur consapevoli della loro fallacia e inaffidabilità.

Perché è cosi difficile ignorarli?

La trappola di cui siamo vittime è detta effetto Forer (dal nome dello psicologo che già nel 1948 descrisse il fenomeno): porta a credere, accettare e dare l’approvazione a descrizioni psicologiche sommarie, spesso contrapposte, con dettagli vaghi e che si potrebbero applicare a un gran numero di persone. In parole semplici: ogni individuo posto di fronte a un profilo psicologico che crede a lui riferito, tende a immedesimarsi in esso, nonostante quel profilo sia generico, tale da adattarsi a più persone.

Per dimostrare le sue ipotesi Forer chiese ai suoi studenti di compilare il Diagnostic Interest Blank, un questionario dove venivano raccolte diverse info fra cui hobby, aspirazioni, caratteristiche a cui sarebbe seguita un’interpretazione qualitativa. Dopo una settimana, restituì un quadro della loro personalità, chiedendo di mantenere la riservatezza sulla propria valutazione: perché tutte le valutazioni erano identiche e consistevano in alcune delle seguenti frasi.

– Hai grande bisogno di piacere e di essere ammirato dagli altri

– Hai una grande quantità di doti non utilizzate, che non hai saputo sfruttare a tuo vantaggio

– Disciplinato e controllato al di fuori, tendi a essere internamente insicuro e preoccupato

– A volte hai seri dubbi e ti chiedi se tu stia prendendo la decisione corretta o stia facendo la cosa giusta

– Ti sei trovato a essere imprudente, parlando di te in modo troppo aperto

– A volte sei estroverso, affabile, socievole, altre sei introverso, diffidente e riservato

Dopo aver letto ogni personale descrizione, gli studenti dovevano indicare con un punteggio da 0 a 5 quanto si riconoscessero nelle frasi riportate. La media dei punteggi ottenuti fu 4.26. Questo fenomeno è stato replicato con altri esperimenti e si è potuto verificare che tra l’80 e il 90% delle persone considerano che le affermazioni generali siano molto precise in riferimento a loro stesse.

Certo è che tendiamo ad accettare quelle affermazioni nella stessa misura in cui desideriamo che queste siano reali e ci risultano sufficientemente positive e lusinghiere.

Va considerato che quando incontriamo una credenza che risolve una incertezza, questo ci predispone a confermare e dare per certa la stessa, scartando a priori ogni evidenza contraria. In questo modo si sviluppa una sorta di meccanismo automatico che consolida l’errore originale e conferisce una eccessiva attendibilità alla credenza.

VEGGENTI NORMALI DAI POTERI STRAORDINARI

Cosa spinge persone normali, istruite e con una buona posizione sociale a credere che questi veggenti possano avere dei poteri straordinari che le rendono capaci di vedere e parlare con i defunti, di comprendere una persona e di conoscere il suo passato, il suo presente ed il suo futuro attraverso la lettura della mano, i tarocchi o altre tecniche particolari?

Lo psicologo Richard Wiseman si è occupato di studiare questi fenomeni apparentemente paranormali. Dai suoi studi e dall’incontro con un presunto sensitivo, ha individuato alcune tecniche di base utilizzate da chi si definisce veggente per catturare l’attenzione delle persone, ottenere il loro favore e far credere di conoscere la loro vita ed il futuro.

6 TECNICHE USATE DAI MAGHI PER SAPERSI DIFENDERE

Fanno lusinghe. La maggior parte dei sensitivi tende a fare alle persone dei complimenti (“hai ottime capacità”, “sei un ottimo osservatore”, “sei capace di gestire le situazioni critiche”, “sei attento ai dettagli”) per soddisfare il bisogno umano di essere apprezzati. Questo espediente può indurre le persone ad avere un atteggiamento più benevolo nei confronti del mago e ad abbassare la propria capacità critica.

Sfruttano il meccanismo psicologico della memoria selettiva. La memoria selettiva ci porta a ricordare di più le cose che sono congruenti con le nostre aspettative e con il nostro modo di essere. I maghi fanno molte affermazioni che si riferiscono a caratteristiche diverse e spesso contrapposte: “alcune persone ti definiscono timida, ma non hai paura di dire la tua”, “sei una persona precisa, ma anche disorganizzata in alcune situazioni”-. Le persone sono portate a ricordarsi maggiormente ciò che rispecchia maggiormente la loro personalità e la loro storia e a dimenticare il resto.

Utilizzano la creazione di senso. Siamo portati ad interpretare gli stimoli, ad attribuire un significato specifico anche a informazioni generiche ed ambigue ed in base a questo fenomeno molte affermazioni fatte dai sensitivi possono apparire riferite a sè. Ad esempio, se si parla di “cambiamento in campo immobiliare”, questo potrebbe riferirsi al proprio trasloco o al trasloco di un amico o di un familiare, alla possibilità di ereditare un immobile, alla possibilità di cercare una nuova casa in affitto o di acquistarne una nuova. Inoltre, questo cambiamento potrebbe riferirsi al presente, ma anche al passato e al futuro. Insomma, si apre un ventaglio di possibilità così ampio nel quale ognuno, riflettendo, potrà individuare ciò che si riferisce a sé.

Prestano attenzione alle reazioni delle persone. Solitamente i sensitivi toccano vari argomenti e fanno vari commenti e, studiando le reazioni delle persone, arrivano ad approfondire i temi per loro importanti e a riproporre le giuste informazioni. Possono iniziare accennando possibili problemi di salute, economici, amorosi per osservare quale tema interessa alla persona. Arrivano a capirlo osservando piccoli dettagli. Si può trattare, ad esempio, del fatto che la persona annuisce, anche lievemente, di piccoli sorrisi o espressioni di tristezza, di un cambiamento repentino di espressione o della postura.

Si servono dell’illusione dell’unicità. Spesso tendiamo a considerarci unici e speciali, con caratteristiche fuori dal comune e particolari. In realtà siamo tutti prevedibili. In base a questo principio i maghi spesso propongono affermazioni che sono valide per la stragrande maggioranza delle persone.

Utilizzano scappatoie. Naturalmente può capitare anche ai sensitivi di fare affermazioni sbagliate e a questo punto cercano delle scappatoie. Una delle più diffuse è quella di ampliare un’affermazione giudicata sbagliata in modo da renderla ancora più vaga e, quindi, potenzialmente riferibile ad una molteplicità di situazioni, aumentando così la probabilità di individuare qualcosa che possa riguardare la persona. Ad esempio, se il sensitivo dice che nella vita della persona c’è qualcuno con un nome che inizia con la B, ma non riceve conferma, potrebbe dire che in realtà potrebbe trattarsi anche di una V. Un’altra tecnica consiste nell’invitare la persona a riflettere su quanto detto perchè probabilmente l’informazione è corretta, ma riguarda qualcosa che in questo momento non le viene in mente e, solitamente, “chi cerca trova”. Infine, se si fanno affermazioni più specifiche che si rivelano errate, si può utilizzare lo stratagemma di dire che si stava parlando in modo metaforico. Ad esempio, se si dice ad una persona che ama viaggiare e questo non è vero, le si potrebbe dire che il viaggiare va inteso metaforicamente, nei termini di “viaggiare con la fantasia”, “essere aperta ai cambiamenti”, “ricercare nuovi stimoli”.

Il consiglio dunque che mi sento di dare non è quello di smettere di leggere l’oroscopo, ma di consultarlo. Il fato non ha memoria, come i dadi e la roulette. Dunque perché privarci di una scelta consapevole, che seppur si dimostrerà errata, ci avrà permesso di essere noi i veri artefici del nostro destino?

Oltre che farà sicuramente bene anche al nostro portafoglio…

IL PIACERE NON E’ LA FELICITA’: A COSA REALMENTE SERVONO DOPAMINA E SEROTONINA

Per secoli, i filosofi hanno tentato di interpretare la natura della mente, poi sono arrivate le neuroscienze che, occupandosi di cervello, hanno accumulato una grande quantità di conoscenze empiriche, svelando meccanismi sconosciuti che ci stanno aiutando a spiegare il comportamento umano e a migliorare la nostra vita.

Abbiamo così avuto modo di renderci conto di quanto il cervello sia un organo spettacolare che agisce in base a schemi complessi e che “predilige una condizione di equilibrio stabile e di coerenza. Il comportamento umano è imprevedibile e fatto di mille sfumature”, per usare le parole del divulgatore scientifico David Di Salvo.

IL CENTRO DELLA RICOMPENSA

Molecola di Dopamina

E ha necessità di emozioni positive così come di quelle negative. Negli articoli precedenti abbiamo affrontato il tema della paura, della rabbia, del conflitto, ma non dobbiamo dimenticare che nel cervello c’è anche il centro della ricompensa, che ha la funzione di rinforzare i comportamenti più vantaggiosi per l’individuo. Il neurotrasmettitore della ricompensa è la dopamina, una sostanza importante, ma anche un potente nemico di gratificazioni inappropriate, che danno luogo a comportamenti compulsivi e a forme di dipendenza patologica, come avviene nel caso di droghe, sesso, rete o gioco d’azzardo.

Il cervello acquisisce una condizione di felicità se riesce a vivere in uno stato di certezza e di stabilità emotiva. Ciò fa emergere la sua tendenza a cercare prove che confermino le proprie idee e a ignorare quelle che le contraddicano. E’ una disposizione battezzata dai neuroscienziati bias di conferma. Cercare prove o giustificazioni nel convalidare la nostra posizione e contrastare quelle che la confutano è un meccanismo cerebrale che avviene e attuiamo inconsapevolmente di continuo.

Ma perché impegnarsi tanto per dimostrare l’ autenticità di una cosa che invece si è dimostrata essere falsa? Cercare di aver ragione pur di fronte ad evidenti falsità è una condizione emotiva che produce nel cervello una scarica neurochimica di gratificazione. Avere l’ ultima parola anche in questioni banali è una cosa che al nostro cervello piace all’inverosimile. Perché ogni comportamento di “chiusura”, di “resistenza mentale” rappresenta una “ricompensa” una soddisfazione, un premio psicologico. Una scossa di certezza: “contrasto, nego, rifiuto: dunque sono, esisto”.

Il ruolo della dopamina è ancora più interessante di così.

DOPAMINA, CORTISOLO E SEROTONINA

Molecola di Serotonina

Robert Lustig è un endocrinologo americano, professore all’Università della California a San Francisco. Ha scritto un libro: The Hacking of the American Mind dove spiega le basi biochimiche dei comportamenti: cosa succede nel cervello quando, ad esempio, ci si trova a Parigi in agosto, in casa si soffoca di caldo, sarebbe meglio bere acqua, invece si scende in strada per comprare un gelato alla nocciola e nostra moglie o nostro marito ci ricorda gli etti, se non i chili in più che già abbiamo in dotazione e non siamo riusciti a smaltire per la fatidica prova costume. Funziona così: la dopamina spinge alla ricerca del sollievo e di un piacere immediato, il gelato. Alla prima leccata, la beta-endorfina fornisce una sorta di orgasmo alimentare, ma il commento coniugale scatena il cortisolo e lo stress: a quel punto niente può impedire di buttarsi anche su un croissant al cioccolato.

È un libro uscito un paio di anni fa negli Stati Uniti che contrappone il piacere immediato – fornito da droghe, zucchero, alcol, tabacco, like e retweet sui social – alla felicità. Indulgere nella nevrosi della micro-ricompensa può generare dipendenza e depressione perché ci si assuefà in fretta, le dosi non sono mai abbastanza e si cade quindi in depressione. Soprattutto, la ricerca del piacere allontana la felicità intesa come appagamento.

E poi c’è la serotonina che è determinante durante l’innamoramento. Piacere e felicità sono due passioni positive, i moventi della vita, solo che dovrebbero stare in equilibrio e collaborare. Il piacere è il dominio della dopamina, la felicità è il regno della serotonina. Ma secondo Lustig l’America e l’Occidente, complice la tecnologia, sono sempre più schiavi della prima.

La dopamina è un altro neurotrasmettitore in grado di alimentare in noi il desiderio di novità e di farci provare la sensazione di piacere di fronte ad alcune situazioni, come durante il rapporto sessuale, dopo un lauto pranzo e dopo l’assunzione di cocaina oppure di anfetamine. La dopamina viene definita la sostanza chimica del piacere. Attiva una serie di modelli comportamentali. Motiva gli esseri umani e gli altri mammiferi a ricercare quello che li fa stare bene e rilascia la sensazione di piacere quando l’hanno trovato.

LA DIFFERENZA FRA PIACERE E FELICITA’

«Ci sono sette differenze fondamentali», dice Robert «il piacere è effimero mentre la felicità durevole, il piacere è viscerale e aumenta la pressione e il battito cardiaco mentre la felicità è più spirituale e rilassante, piacere è prendere (lo vediamo nello shopping o nel gioco d’azzardo) mentre alla felicità si arriva con il dare; il piacere può essere ottenuto con sostanze legali o non mentre la felicità è darsi obiettivi e raggiungerli, il piacere è una condizione di solitudine mentre la felicità si sperimenta in società, gli eccessi del piacere provocano dipendenza mentre la felicità no».

IL CERVELLO E’ PROGRAMMATO PER PROVARE EMOZIONI

Il nostro cervello è programmato dunque geneticamente per provare emozioni in situazioni esistenziali nelle quali si trova ad agire. Anzi, egli è programmato dalla natura, come fosse una vera e propria risorsa evolutiva, per trarre piacere dalle azioni che compie, evitando quelle nelle quali il piacere non si prova. Il cervello è in grado di distinguere il piacere dal non-piacere, mentre non distingue il nocivo dall’innocuo, altrimenti sarebbe per tutti i fumatori facile smettere di fumare. Soprattutto il piacere immediato, il bisogno di ricompensa, è il campo della dopamina, mentre la felicità, l’appagamento, quello della serotonina. Sono entrambi due neuro-trasmettitori, ma non potrebbero funzionare in modo più diverso. Possiamo avere piacere e felicità solo se riusciamo a farli lavorare insieme.

Ma ciò non accade. A causa della moderna società che stimola continuamente i meccanismi della ricompensa immediata, del piacere a corto raggio. I circuiti cerebrali sono occupati dalla dopamina, e sempre meno disponibili per produrre serotonina. Per esempio l’abuso delle tecnologie scatena dopamina e riduce la serotonina. «Il bisogno di controllare le e-mail, i messaggi, le notifiche, la tendenza all’accumulo di follower o di like: qui si vede bene la dipendenza psicologica provocata dal bisogno di ricompensa immediata».

La felicità, che è un insieme di emozioni gratificanti e un desiderio di novità, perché la ricerco per provare nuove emozioni rispetto a quelle che già provo, è anche una sorta di innamoramento, perché tendo a confonderla con il piacere fisico che può procurarmi, desiderando mantenerla nel tempo il più a lungo possibile. E questo mantenersi nel tempo implica sia la ricerca di novità che la stabilizzazione delle conquiste piacevoli che ho ottenuto nel tempo.

Anche le religioni, pur basandosi su idee diverse, hanno un denominatore comune: un luogo dove i fedeli possono riunirsi, che sia la chiesa, la moschea o il tempio. La religione genera empatia e serotonina, capace in effetti di generare felicità. Tutta la nostra società è fondata sul meccanismo della soddisfazione immediata e della dipendenza, funziona con le bevande gassate, i dolci, le sigarette, i telefonini. L’abuso degli smartphone è un’altra tendenza contemporanea a lasciarsi irretire dalla gratificazione istantanea.

COME DIFENDERSI DALL’IRRUENZA DELLA DOPAMINA

Le 4 C

Non è facile uscire dalle dipendenze e dalla ricerca del piacere immediato, ne sanno qualcosa le persone che vanno nei centri di recupero per sottrarsi all’alcool o alle droghe.

Il primo passo per guarire è riconoscere di avere un problema. Poi si può provare qualcosa. Per aspirare alla felicità senza accontentarsi del piacere immediato qualcuno suggerisce le quattro C: Connect, cioè privilegiare la connessione sociale tra persone reali; Contribute, ovvero altruismo, volontariato, filantropia; Cope, ovvero fare attenzione alle ore di sonno e dedicarsi alla meditazione; e Cook, cioè cucinare per sé stessi, gli amici, la famiglia. Quando si cucina si è concentrati. Fa bene tutto quello che riduce il multitasking e l’iperstimolazione.