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I GRANDI VANTAGGI DEL FANTASTICARE A OCCHI APERTI

Quante volte ci ritroviamo, ogni giorno, incantati a guardare al di là di una vetrata, un finestrino, persi nei nostri pensieri? Così tante che spesso nemmeno ne siamo coscienti.

Sognare ad occhi aperti è una delle attività più utili che regaliamo a noi stessi, e non una perdita di tempo come ci siamo spesso sentiti dire, fin dalla più tenera età. Secondo le ricerche scientifiche infatti fantasticare a occhi aperti ci aiuta a realizzare i nostri obiettivi, ci rivela le nostre speranze più intime, i desideri e le paure.

Eric Klinger, psicologo all’Università del Minnesota, nonché pioniere del settore, afferma che esiste un vantaggio evolutivo in questa capacità di distrazione della mente. “Sognare ad occhi aperti tende a confermare ciò che conosciamo già di noi stessi anziché fornirci nuove informazioni. E’ in pratica un meccanismo di richiamo, capace di aumentare la probabilità che le occupazioni principali restino invariate, senza che ci perdiamo in troppi obiettivi fuorvianti”.

UN BISOGNO CHE NASCE DA BAMBINI

Fantasticare si manifesta fin da bambini: sono la continuazione di un modo di pensare magico tipico dell’infanzia: il bambino pensa che la realtà sia influenzabile dai suoi desideri. Immagina di riuscire a volare o di poter muovere gli oggetti a distanza. Questo ricorda la mentalità degli uomini primitivi, che pensavano di controllare la natura attraverso rituali come la danza della pioggia, così come le credenze magiche.

Secondo gli studi della psicologa Marjorie Taylor (Università dell’Oregon), più del 60% dei bambini fra i 3 e gli 8 anni ha avuto un amico immaginario con cui giocare. Taylor ribalta un pregiudizio passato verso i compagni immaginari, come indice di disagio: «Hanno un ruolo salutare nello sviluppo cognitivo ed emotivo dei bambini». Offrendo, come amici veri, compagnia, sostegno, protezione.

Attraverso il gioco, i bambini creano fantasie che consentono di andare oltre i loro limiti. Sono consapevoli che il “fare finta di” non è la realtà ma, fino a che il gioco dura, è come se lo fosse. Anche l’adulto che fantastica sperimenta quel senso di onnipotenza: abbatte le barriere fra passato, presente e futuro e vive l’illusione di manipolare la realtà a suo piacimento. Con la fantasia non può azzeccare la schedina del totocalcio, ma può immaginare ciò che farebbe se diventasse milionario.

FREUD E I SOGNI

Fra i primi a scoprire i meccanismi psicologici della fantasia fu il fondatore della psicoanalisi, Sigmund Freud: per lui la fantasia era il modo per esprimere bisogni insoddisfatti che altrimenti non potrebbero emergere.

L’uomo tende al piacere, ma la realtà lo costringe a rinunciarvi: così la fantasia consente di accedere a mondi in cui ogni desiderio può essere soddisfatto, evadendo dai limiti del quotidiano. I sogni a occhi aperti ci consolano per ciò che non siamo o non abbiamo, mitigano le nostre ansie, ci consentono di annullare, almeno nella mente, gli errori del passato.

L’attività immaginativa non è solo un sollievo. Ci serve “concretamente”, perché è anche uno strumento per anticipare il futuro: quando pensiamo a come arredare il salone di casa, alla reazione che avrà il nostro partner quando vedrà un regalo, mettiamo a frutto le nostre capacità di immaginazione.

LE FANTASIE SONO TUTTE UGUALI?

Durante un sogno ad occhi aperti, siamo leggermente distaccati dalla nostra situazione immediata. Questo significa che siamo più ricettivi alle idee generate all’interno del nostro subconscio. I daydreams sono pertanto diversi per ognuno. Esistono però due temi che accomunano il modo di assentarsi delle persone dalla vita reale: “l’eroe conquistatore” e “la martire sofferente“.

Le ricerche hanno stabilito che gli uomini tendono a vedersi come conquistatori mentre le donne, che solitamente tendono a rimuginare di più sulle emozioni, come martiri!

La trama del sogno ad occhi aperti di un uomo si incentra prevalentemente nel vedersi potente. L’uomo visualizza scenari come quello di volare o salire verso l’alto che denotano la volontà di superare paure personali. Fantasie di questo tipo riflettono la necessità di avere il controllo e superare le frustrazioni della vita. Sognare ad occhi aperti per una donna, è legato più alla sensazione di essere incompresa e fraintesa; cosicché la sognatrice immagina situazioni in cui altre persone vengono a scusarsi per il loro egoismo e a riconoscere quanto ella sia una persona meravigliosa.

Sognare ad occhi aperti si può verificare in caso di stress, frustrazione e noia, quando ci sentiamo fuori posto nel mondo reale, e così immaginiamo situazioni alternative.

A volte il sogno ad occhi aperti può essere terapeutico: può cambiare il nostro stato d’animo, può rilassarci e intrattenerci. Essere in grado di rivedere un sogno ad occhi aperti che ci procura sicurezza o felicità, può aiutarci a sopportare situazioni difficili nella realtà.

OGNI FANTASIA HA UNA SUA ETA’

Sognare ad occhi aperti è differente anche per questioni di età. I bambini e gli adolescenti sognano ad occhi aperti molto di più rispetto agli adulti. Per loro, sognare ad occhi aperti è un modo fondamentale di provare diverse identità ed esplorare le possibilità della vita in un ambiente sicuro.

Man mano che invecchiamo, i nostri obiettivi sono più definiti e realizzabili, in questo modo ci affidiamo molto meno al fantasticare, sebbene non finisca mai la nostra tendenza a immaginare il futuro.

Più si diventa anziani, meno fantastichiamo su sesso, avvenimenti romantici o su scenari eroici. Abbiamo anche un minor numero di sogni ad occhi aperti aggressivi e di ostilità.

Coloro che sognano di più ad occhi aperti non hanno una personalità più distaccata dalla realtà. La ricerca intrapresa dagli psicologi Steven Lynn e Judith Rhue ha svelato il dato che chi sogna di più rispetto ai più razionali, può addirittura avere un leggero vantaggio creativo.

A riprova di questo, lo psicologo Jerome Singer dell’Università di Yale, sostiene che i bimbi fantasiosi sono meno aggressivi, hanno più controllo sulle loro emozioni e le azioni, e sono più empatici rispetto agli altri bambini.

SOGNARE AD OCCHI APERTI E’ UN BENE?

L’immaginazione è uno strumento di adattamento: senza non potremmo concepire alternative al presente, prefigurarci scenari futuri, né rivedere il passato, rielaborandolo in modo creativo per servircene nel presente e nel futuro. Per esempio, non potremmo ripensare alle disavventure di una vacanza in barca e tener conto dei nostri errori fantasticando sul prossimo viaggio.

Le fantasie sono poi un “teatro privato”, in cui l’autore è allo stesso tempo uno degli attori (di solito, il protagonista) e lo spettatore: non è ammesso altro pubblico… La fantasia è infatti custodita gelosamente: si è disposti, più spesso, a raccontare i propri sogni notturni che quelli a occhi aperti. Può essere per pudore, per vergogna, per il dubbio di non essere compresi. Ma spesso è anche «la paura di perdere il potere della fantasia» spiega Ethel S. Person, psicanalista e docente alla Columbia University. Abbiamo cioè paura che, una volta raccontata ad altri, la fantasia possa affievolirsi senza più darci piacere o alleviare le nostre tensioni. Altre volte, si preferisce viverla segretamente per evitare il confronto con la realtà: la faccia perplessa di un amico che ci fa capire che un nostro sogno è irrealizzabile.

Aggiunge Person: «La fantasia è un gioco di prestigio che la persona fa senza capire come: essa agisce per far sì che una parte di noi non capisca quello che un’altra parte vuole». Del resto, funzionano così anche i sogni notturni: sono manifestazioni di desideri inconsci mascherati, come a volte le fantasie. Ma c’è una differenza fondamentale: nei sogni c’è un totale sconvolgimento dei nessi logici (sequenze temporali sfasate, incoerenze); i sogni a occhi aperti, invece, sono prodotti a mente consapevole e, quindi, sono più aderenti alla realtà. Con la fantasia possiamo immaginarci fra le montagne del Nepal e poi tornare al presente per pensare a che cosa fare per cena, ma ci rendiamo conto di vagare in diverse dimensioni del tempo e dello spazio. Nel sogno, invece, possiamo trovarci contemporaneamente sui monti e in cucina.

Fantasticare ad occhi aperti è quindi un bene per il nostro equilibrio, ma anche “una risorsa personale fondamentale per affrontare la vita”, per usare le parole di Klinger.

Quindi a chi ci riprende perché ci vede sognanti e distratti, ora sappiamo cosa rispondere.

BELLO DA STAR MALE: LA SINDROME DI STENDHAL

Tutti ne hanno sentito parlare. E probabilmente anche tu, se sei anche solo uno sporadico frequentatore di musei e gallerie, conosci qualcuno che afferma di esserne stato colpito. Sto parlando della Sindrome di Stendhal, fenomeno che aggredisce inaspettatamente la persona che si trova ad osservare un’opera d’arte ai suoi occhi di incommensurabile bellezza. Vertigini, tachicardia, confusione, crisi di pianto, ansia… Insomma, la Sindrome di Stendhal, per quanto sgradevole, sembra essere la manifestazione dell’immenso potere dell’arte sulla nostra psiche.

Nota anche come Sindrome di Firenze, venne descritta per la prima volta dallo scrittore francese Stendhal, nel suo libro Roma, Napoli e Firenze. L’autore della Certosa di Parma, sperimentò lui stesso questo fenomeno durante una visita alla Basilica di Santa Croce a Firenze. Qui fu colto da una crisi che lo costrinse a guadagnare l’uscita dell’edificio al fine di risollevarsi dalla reazione vertiginosa che il luogo d’arte scatenò nel suo animo.

RICERCHE E STUDI

E’ stata una psichiatra italiana a teorizzare per la prima volta questa sindrome: Graziella Magherini, responsabile del Servizio di Salute mentale dell’Arcispedale Santa Maria Nuova di Firenze. Nel 1977, analizzò le reazioni di più di 100 turisti usciti dagli Uffizi, in preda a singolari malori, riuscendo a cogliere tratti fra loro comuni. Le sue ricerche sono raccolte in un libro La sindrome di Stendhal. Il malessere del viaggiatore di fronte alla grandezza dell’arte.

Nello studio vennero osservati soggetti per lo più di sesso maschile, di età compresa fra 25 e 40 anni e con un buon livello di istruzione scolastica, che viaggiavano da soli, provenienti dall’Europa Occidentale o dal Nord-America che si mostravano interessati all’aspetto artistico del loro itinerario. L’esordio del disagio si presentò poco tempo dopo il loro arrivo a Firenze, e si verificò all’interno dei musei durante l’osservazione delle opere d’arte.

In merito alla sua ricerca, Graziella Magherini affermò “La Bellezza e l’opera d’arte sono in grado di colpire gli stati profondi della mente del fruitore e di far ritornare a galla situazioni e strutture che normalmente sono rimosse”.

Già Freud, sull’Acropoli di Atene, sperimentò uno smarrimento cognitivo, l’opera d’arte come importante mezzo di comunicazione di contenuti inconsci: attraverso dipinti e sculture, infatti, si trasmettono i propri conflitti interiori, i propri traumi, le emozioni, gli istinti sessuali e gli impulsi repressi.

E poi Goethe, Sterne, Proust e Dostoevskij descrissero successivamente nei loro scritti, con differenti emozioni l’effetto che le opere rinascimentali provocarono quando si trovarono dinnanzi al loro cospetto.

I SINTOMI

Sono vari e possono comparire non solo di fronte a opere d’arte, ma anche ascoltando musica. Vertigini, svenimenti, tachicardia, attacchi di panico, addirittura allucinazioni; che potrebbero in alcuni casi sfociare in stati d’ansia prolungati. Come se il cervello andasse in sovraccarico da meraviglia e non potesse contenere tutto ciò che vede senza rimanerne folgorato nel profondo. Più colpite sembrano essere persone particolarmente sensibili e in luoghi ricchi di stimoli artistici, come Firenze appunto.

Sensazioni estatiche, definite però anche patologiche, non a caso la Sindrome di Stendhal ha anche un altro nome: malattia da iperculturemia.

Dalla sua definizione, nel 1977, si è discusso molto in psicologia, e sono molti gli studiosi che affermano che in realtà non esista o che possa essere assimilata ad altre sindromi più generiche e ampie, come quella del viaggiatore.

La Magherini ha anche cercato di capire se alcune opere più di altre fossero responsabili dello scatenarsi della sintomatologia. Michelangelo è risultato essere l’artista che più di altri ha contribuito a scuotere gli animi e nello specifico il suo David. “Il David presenta delle caratteristiche eccezionali: in primo luogo possiede una bellezza anatomica straordinaria e poi, contemporaneamente, è un eroe biblico e, per la città, un eroe civico. Soprattutto, ciò che colpisce chiunque, è il lato estetico: è un bellissimo nudo e ciò riesce a influenzare l’animo di alcune persone rendendole in qualche modo eccitate, depresse e così via, influenzando perciò l’emotività dello spettatore, in un senso o in un altro”.

NEURONI SPECCHIO, CERVELLO E STENDHAL: COSA LI UNISCE?

Grazie alla scoperta dei neuroni-specchio, negli anni ’90 (ne abbiamo parlato in un precedente articolo: EMPATIA: L’ANTIDOTO A PREGIUDIZI, CONFLITTI E DISEGUAGLIANZA) , è più facile ora capire cosa succede nel cervello quando ci si trova di fronte un’opera d’arte. Nelle persone particolarmente sensibili sembra arrivino troppi impulsi visivi nello stesso momento, e che questi producano così un’intensa eccitazione, che si tramuta nei sintomi che abbiamo descritto.

Secondo il neurologo Semir Zeki, siamo dotati di un cervello visivo con cui possiamo cercare di spiegare e capire la creazione artistica. Allo stesso modo siamo dotati di un cervello artistico, prolungamento di quello visivo. Il nostro cervello non è un semplice spettatore passivo che si limita a registrare la realtà fisica del mondo esterno, ma è piuttosto un creativo: ogni volta che vediamo di fatto costruiamo nella nostra testa un’opera d’arte.

La risposta del cervello di fronte all’arte potrebbe non solo fornire spiegazioni maggiori sulla Sindrome di Stendhal, ma anche capire meglio il funzionamento del cervello, le cui logiche non sono ancora del tutto conosciute.

L’APPROCCIO PSICOANALITICO

Secondo l’approccio psicoanalitico chi soffre della Sindrome di Stendhal non gode della bellezza estetica del capolavoro artistico, ma trova trasformati, nell’opera d’arte sotto forma di linguaggio artistico, impulsi, emozioni e conflitti profondi che, se non tollerati ed adeguatamente gestiti, possono provocare, a seconda dei casi, angoscia oppure euforia. Alcune peculiarità di un capolavoro artistico, in un determinato soggetto, in un determinato momento, possono, cioè, acquistare un elevato significato emotivo.

Se si accetta questa prospettiva, si può affermare che la reazione di fronte ad un’opera d’arte dipenda in gran parte dalla disposizione emozionale e dal rapporto che si instaura tra fruitore e creatore nel momento dell’incontro. Infatti, nel momento dell’incontro si animano vicende profonde della realtà psichica e si riattiva la vitalità della sfera simbolica personale. E il viaggio diventa pure, nelle sue soste tanto attese nelle città sognate, un’occasione di conoscenza di sé.

Un concetto, questo del viaggio sentimentale, già proposto da Laurence Sterne (1713-1768), precursore della moderna psicologia. Lo scrittore britannico, infatti, diede all’aggettivo sentimental una connotazione psicologica, per cui i sentimenti divennero moti dell’animo e manifestazioni della sensibilità ed il viaggio metafora di un movimento esistenziale.

COSA FARE SE VENIAMO CATTURATI DA STENDHAL…

Quando il problema persiste nel tempo, è consigliabile andare da un medico specializzato. Nella maggior parte delle volte, a quasi tutti è capitato di rimanere assolutamente affascinati dalla bellezza, fosse per un oggetto d’arte o un’aria musicale. Probabilmente chi arriva al punto di svenire e di provare malessere davanti alla bellezza in sé conserva una sensibilità estremamente accentuata che può risultare difficile da gestire.

Ma è pur vero che la maggior parte di coloro che intraprendono un viaggio in solitudine, in luoghi fortemente suggestivi e capaci di indurre forti reazioni emozionali, possono inciampare in alcuni sintomi propri della sindrome, pur senza conseguenze preoccupanti.

Anche lo scrittore russo Fëdor Michailovic Dostoevskij inciampò in questa sindrome, durante la visione del quadro di Holbein, un volto tumefatto, pieno di ferite sanguinolente. Insomma sono molti coloro che hanno conosciuto la sindrome.

Perdersi nella bellezza, posso sostenere da profano, che sia alla fine una fortuna. Non tutti sanno cogliere l’estetica e il vissuto di un’opera d’arte e se succede, senza lasciare strascichi ovviamente, non può che essere una esperienza arricchente. L’apertura di una porta sulla magnificenza che talvolta dimentichiamo che è solo lì ad aspettarci.