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CONTRO LO STRESS DELL’ORA DI PUNTA, ARRIVA LO PSICOLOGO DEL TRAFFICO

Non lo trovi ai semafori a dispensare consigli, o a un incrocio a sostenere il vigile urbano mentre cerca di dirigere la circolazione, anche se si occupa del comportamento alla guida e di tutti i processi psicologici coinvolti. Di chi si tratta? Dello psicologo del traffico, il professionista che si occupa di tutelare la salute pubblica nell’ambito della circolazione stradale, al fine di ridurre gli incidenti stradali e aumentare la sicurezza.

La psicologia del traffico è una branca della psicologia che studia il comportamento degli utenti della strada, i processi psicologici sottostanti a questo processo e la relazione tra comportamento ed incidenti stradali. Ed è particolarmente sviluppato nell’Europa centrale, dove raggiunge standard molto elevati, in particolare in Germania e in Austria, ma è ben radicato anche in altri paesi come Spagna, Francia e Australia. I temi tipici affrontati dalla psicologia del traffico riguardano, ad esempio, gli effetti di diversi fattori come alcol, droghe o farmaci, affaticamento e stanchezza, sulle capacità di guidare in sicurezza; le cause dell’alto rischio di incidenti stradali dei conducenti giovani neopatentati; il ruolo dei processi cognitivi quali l’attenzione, il sovraccarico cognitivo, ecc.; le cause della guida a velocità inadeguata o l’assunzione di comportamenti a rischio; i fattori di personalità che possono concausare incidenti stradali.

ROSSO, GIALLO E VERDE

Un esempio pratico. I colori del semaforo, rosso, gialle e verde, non sono la scelta ottimale. Non sono riconoscibili dalle persone daltoniche e in certe condizioni di luce anche chi non litiga con i colori fa fatica a metterli a fuoco.

Lo psicologo del traffico Karl Peglau, dell’Istituto di Medicina del Traffico di Berlino dove studiava come rendere più sicure le strade analizzando la psicologia del guidatore e del pedone per ridurre la possibilità degli incidenti, associò ai colori, una forma geometrica che suggeriva in maniera inequivocabile di fermarsi o procedere. I due omini, AMPELMANN, uno rosso a piedi uniti e a braccia aperte che impone di fermarsi e uno verde atletico che si precipita in strada per attraversarla, danno direttive più chiare.

Questo suggerimento di Peglau, noto a tutti, aiuta in modo inequivocabile a capire se fermarsi o sgombrare la strada ai semafori.

ATTENZIONE E SICUREZZA

Cosa dire dell’ABS e degli airbag? Sono sufficienti da soli a rendere la guida sicura? Sicuramente, ma lo psicologo del traffico Max Dorfer, precisa che a determinare la sicurezza della guida interviene un oggetto, che pesa circa un chilo e mezzo ed è collocato tra le due orecchie e non si tratta di un optional. Il cervello! Determina la condotta di guida, la scelta del veicolo, il suo uso, la scelta della RCA e, in definitiva, anche la propensione agli incidenti.

“In Italia comincia a farsi strada, nel vero senso della parola, la convinzione che al tema della sicurezza, un corretto approccio non può che essere multidisciplinare (conoscenza dei processi percettivi, attentivi, emotivi, mnestici, di psicologia sociale e del lavoro, di psicologia dello sviluppo e dell’educazione, di psicologia clinica, ergonomia). Inoltre, è necessario adottare solo misure di cui è documentata l’efficacia, basate su solide evidenze scientifiche. Non siamo ancora ai livelli dei paesi più avanzati come la Danimarca, la Germania o la Francia, ma ci stiamo avvicinando”.

GLI EFFETTI DEL TRAFFICO SULLA PSICHE

Le città, con la loro abnorme concentrazione di stimoli percettivi (uditivi, visivi e cinestesici) sono un ambiente altamente complesso e caotico, in grado di suscitare una gamma infinita e mutevole di stati d’animo. Tale aspetto è legato soprattutto alla influenza degli effetti della vita cittadina sui normali ritmi biologici e circadiani, che risultano sempre più privi di pause fra un’attività e l’altra. Si calcola che la tendenza delle persone è suddividere mentalmente la giornata in unità di tempo di circa 30 minuti-un’ora da dedicare ad ogni impegno per riuscire a farvi rientrare tutto ciò che si ritiene importante, con conseguente esposizione ad inevitabile stress dato dalla impossibilità che questa situazione ideale si realizzi.

Queste unità di tempo si fanno però relative e acquistano un valore diverso a seconda del contesto in cui ci troviamo; girando per il centro storico di una città nell’ora di punta uno spazio vuoto di 3 metri lungo il marciapiede può sembrare uno spazio infinito e qualcosa per cui si diventa disposti a lottare con il coltello fra i denti; lo stesso vale per una frazione temporale di 5 minuti che, se trascorsi in attesa, equivalgono ad un lasso di tempo enorme perchè sinonimo di imperdonabile “spreco”.

Città significa soprattutto traffico, ovvero un micro ambiente a parte, in cui la pressione psicologica e l’iperstimolazione ambientale si fanno ancora più concentrati, schiacciando progressivamente il nucleo individuale in uno spazio sempre più ridotto (l’automobile) che diviene per ognuno una sorta di ambiente privato inviolabile e gelosamente custodito.

Ecco gli aspetti psicologici del traffico si fanno rilevanti.

Effetto privacy: in macchina si trasporta di tutto, ci si mette le dita nel naso pensando di non essere visti, oppure si allestisce all’occorrenza una sorta di ufficio o monolocale mobile. Insomma, l’automobile è sempre più uno spazio in cui si finisce per trascorrere molto tempo, un luogo sempre più a immagine e somiglianza del proprietario e che ne riflette la personalità.

Alterazione del normale rapporto uomo-ambiente: si stima che il nostro organismo sia fatto per muoversi nel proprio ambiente ad una velocità ideale inferiore agli 8 km/h; questa velocità infatti rende possibile un rapporto uomo-ambiente armonico, in cui le funzioni di osservazione, orientamento, attenzione trovano il miglior livello di funzionamento con conseguenti effetti benefici sui vissuti emotivi. Basti pensare al benessere offerto dai ritmi di vita della campagna, che vengono ricercati sempre più spesso da chi vive in città e risulta ormai assuefatto ad un’alterazione cronica dei normali ritmi biologici.

Scorciatoie percettive: la velocità degli spostamenti cittadini e il sovraccarico di stimoli presente nell’ambiente urbano inducono nelle persone il bisogno di “economizzare” sui tempi di attenzione; di conseguenza mentre viaggiamo in auto tendiamo a dare rapide occhiate nel nostro campo visivo su cui basare la nostra valutazione e le nostre scelte immediate. Queste “scorciatoie” percettive basate sulla fretta non di rado possono indurci in errore esponendoci anche a rischi.

Sottostima del rischio e delle conseguenze del proprio comportamento: confortati anche dalla percezione di maggiore libertà e anonimato offerti dall’abitacolo si può essere portati, in mezzo ad una folla di altri automobilisti, a compiere scorrettezze, a inveire contro altre persone sfogando le proprie frustrazioni o addirittura a porre in essere condotte lesive o delinquenziali senza percepire il danno reale causato alla vittima. Il mezzo infatti altera sensibilmente il rapporto comportamento-effetto. E’ il caso tipico della pirateria stradale, dove le caratteristiche dell’automobile fanno prevalere gli istinti negativi (vigliaccheria, egoismo) su quelli positivi e prosociali (solidarietà, onestà).

Regressione: in auto, e soprattutto in condizioni di pressione psicologica causata dal traffico intenso, le persone tendono ad avere una caduta dei normali livelli di performance cognitiva, divenendo prigionieri di processi emotivi di tipo ansioso che abbassano drasticamente la resistenza alla frustrazione. Di conseguenza in queste circostanze è una tendenza frequente esprimere i peggiori istinti e le emozioni più primitive (aggressività, prevaricazione, mancanza di rispetto) sia come modalità di linguaggio analogico (“io ho la macchina più grande e quindi comando io”) sia come effetto di dinamiche collettive che trasformano il singolo rispetto alla sua dimensione individuale.

In altre parole, quando ci mettiamo alla guida ci trasformiamo e spesso sottovalutiamo i rischi così protetti dalla nostra automobile. Ecco perché studiare i comportamenti legati al traffico può fare la differenza e come dice lo psicologo del traffico americano Dwight Hennessy: “Non siamo poi così diversi. Non importa il paese o la cultura di appartenenza. Le strade potrebbero essere diverse, le macchine potrebbero essere differenti. Le leggi potrebbero essere univoche ma alla guida tutti noi operiamo in virtù degli stessi processi psicologici.”

Conoscere questi processi, ci aiuta a contenerli e in alcuni casi persino a prevenirli. Non a caso, ti chiedo, fra gli effetti elencati sopra, in quanti ti riconosci, quali metti normalmente in atto anche senza accorgerti? E conosci a quali rischi ti esponi, attuandoli?

IL MONDO E’ UN POSTO PERICOLOSO… MA ANCHE NO!

C’è chi afferma che si tratta di un falso problema e che mai il mondo è stato luogo più sicuro; chi invece va alla continua ricerca di dati che testimoniano il contrario, ossia che furti, rapine, borseggi, estorsioni e sequestri siano in continuo aumento. Da qualsiasi parte ci si schieri, una cosa è certa: la sicurezza personale è una delle preoccupazioni più diffuse e su cui tutti si sentono in dovere di dire la loro.

Ma chi, fra le due fazioni, ha ragione?

Dai numeri delle Forze dell’ordine analizzati da Info Data, relativi al luglio-agosto 2017, è emerso che omicidi, furti e rapine si sono ridotti, rispetto gli stessi mesi del 2012, del 42,5 per cento. Le rapine invece sono scese del 35,8 per cento. Eppure nonostante i numeri evidenzino una contrazione, i reati continuano a spaventarci.

LA SICUREZZA OGGETTIVA NON ESISTE

Per comprendere il perché i dati pur essendo incoraggianti, hanno poca presa sulla nostra sensazione di sentirci al sicuro, occorre fare una differenziazione fra sicurezza oggettiva e soggettiva.

Non esiste la sicurezza oggettiva, ma ne esiste una reale ed una percepita; e non necessariamente le due coincidono”, detto in altre parole “la sicurezza di un uomo non dipende da fattori necessariamente reali e un soggetto potrebbe sentirsi in pericolo anche dove non lo sia concretamente e reagire quindi ad un’inesistente minaccia come altrettanto potrebbe percepire di essere al sicuro dove invece una minaccia esiste ed agire in modo sconsiderato ed imprudente”. Si legge nel libro Difendere a Prescindere, edito da Paesi Edizioni.

Insomma pur avendo meno pericoli reali che minacciano la nostra sopravvivenza e quella della nostra specie, oggi rispetto i nostri antenati tendiamo a considerare minacciose anche quelle situazioni che tali non sono. Fino a qui non sarebbe un gran male, ma la cose si complicano quando mettiamo in atto azioni in base a quanto (erroneamente) percepito. E capite bene che se una situazione non a rischio viene percepita come pericolosa, i comportamenti che metteremo in atto sono ben diversi da quelli che attueremmo se invece ci sentissimo al sicuro.

SEI PROPENSO O AVVERSO AL RISCHIO?

Il pericolo da come viene percepito attiva sostanzialmente due tipi di comportamenti: lo si cerca o lo si rifugge, ossia si è propensi o avversi. Chi ha propensione al rischio ha una soglia di attivazione diversa rispetto gli stimoli e tende a cercare emozioni e rischi maggiori o ad essere meno sensibile alle punizioni. Questa propensione a cercare stimoli nuovi spesso annebbia la valutazione dei rischi.

Tomasz Zaleskiewicz, nel 2001, ha proposto una distinzione in ulteriori due sottotipi di propensione del rischio: non strumentale e associato a stimolazione. L’assunzione del rischio è una tendenza specifica del campo economico e ci aiuta a comprendere i diversi modi in cui la percezione del rischio può operare rispetto alla nostra vita. Il tipo non strumentale è associato al campo degli investimenti economici e a caratteristiche di personalità quali un orientamento al futuro, pensiero razionale, impulsività e propensione a rischiare. L’assunzione del rischio associata a stimolazione, sembra essere associata a una preferenza per il prendere rischi in ambiti dello svago, rispetto all’etica e alla salute e del gioco d’azzardo. Inoltre, è associata a caratteristiche di personalità quali l’orientamento al momento, la ricerca di attivazione, l’impulsività e una forte ricerca di sensazioni stimolanti.

L’avversione al rischio è invece un tratto di personalità che può comprensibilmente risuonare come maggiormente conforme a una vita funzionale. Si tratta della preferenza per un’opzione certa (anche se di meno valore) rispetto a una variabile, a qualcosa di incerto. Tuttavia, tali situazioni sono molto rare nella quotidianità. L’Anas nel 2004 ha pubblicato un’interessante ricerca sulle diverse tipologie di guidatori. Questa, ha dimostrato come l’impatto di stress e stanchezza possano influenzare lo stile di guida e la probabilità di incidenti.

I COMPORTAMENTI ALLA GUIDA

Il campione della ricerca era composto da 60 persone coinvolte in un incidente, con necessità di cure ospedaliere superiore alle 24h. Il campione era formato da residenti a Roma, Milano, Padova e Napoli. I risultati hanno delineato 4 stili di guida degli italiani:

  1. Travellers. Coloro abituati a lunghi spostamenti in auto da soli o in compagnia. La ricerca definisce la guida di tale categoria “rilassata e diligente”.
  2. Heavy Users. Si tratta di persone che sono costrette a passare la maggior parte della loro vita in macchina, spesso per motivi lavorativi. La loro guida viene descritta come “incline a violare i limiti di velocità e all’irrequietezza alla guida”.
  3. Frequent Movers. Sono le persone abituate a usare diverse tipologie di mezzi di trasporto privati (es., macchina, scooter, etc.) per spostamenti all’interno della città. Tendono a mostrare un tipo di guida “poco attenta e intollerante al traffico”.
  4. Road Runners. Tale categoria è composta da guidatori di mezzi privati ad alta velocità che ostentano una guida aggressiva, spesso “arrogante”.

Questo tipo di ricerca evidenzia una correlazione tra le tipologie di guida, il diverso vissuto, le abitudini quotidiane e il tipo di uso del mezzo privato. In parte, evidenzia anche come, caso dei travellers escluso, il rischio venga sottovalutato, se non ignorato, a fronte delle esigenze ed abitudini personali.

E’ TUTTA COLPA DELLE TRAPPOLE MENTALI

A spiegare in modo scientifico il perché tendiamo a prendere decisioni più o meno rischiose sono stati il premio Nobel Daniel Kahneman e il collega scomparso prematuramente Amos Tversky, nella loro  teoria del prospetto.

L’evoluzione ci ha portato a ragionare per euristiche, una sorta di “scorciatoie di pensiero”: pattern di pensiero che si sono sviluppate nel corso dell’evoluzione per rispondere alla necessità di trovare dei metodi veloci di risposta alla maggior parte dei problemi quotidiani. Le euristiche non sono negative. L’errore è la non consapevolezza di quanto queste possano essere automatiche. Tale inconsapevolezza porta all’incapacità di riconoscerle e di valutarne un uso adeguato.

Bias ed euristiche possono quindi indurci in errore e farsi percepire il rischio e la pericolosità di una situazione in modo differente rispetto alla realtà di quella situazione.

  • Il bias dell’ancoraggio: decidere assumendo come punto di confronto un valore delineato in modo arbitrario, con nessuna rilevanza oggettiva per la decisione;
  • La fallacia del gambler: sovrastimare la salienza di un evento, positivo, passato e assumere che questo si ripeta nel tempo;
  • Il bias del presente o hyperbolic discounting: assumere che delle ricompense immediate siano di maggior valore rispetto a ricompense differite nel tempo, ignorando il valore assoluto di queste;
  • Il bias dell’ottimismo: ignorare o sottostimare la possibilità che degli eventi negativi possano riguardarci in prima persona. Tendiamo a non pensare che eventi come il divorzio, la perdita del lavoro, un incidente stradale possano capitare proprio a noi.

Questi tipi di bias cognitivi e una sovrastima delle proprie capacità si frappongono spesso rispetto a una minimizzazione dei rischi, nella vita di tutti i giorni. Ritorniamo in auto e traduciamo i bias in esempi pratici:

“La lunghezza del percorso potrebbe essere assunto come una variabile fondamentale per la valutazione del rischio di incidente, ecco quindi la tendenza a non mettere la cintura per percorsi brevi.”

“Da giocatori, potremmo assumere che il fatto di aver sorpassato spesso in passato nella corsia di emergenza senza incorrere in sanzioni o pericoli sia ormai trasformabile in un vero e proprio pattern.”

“Uscire il prima possibile dal traffico può essere percepito come più allettante rispetto a una guida sicura e nel rispetto degli altri, un tipo di comportamento che ci darebbe delle ricompense oggettive e reali sul lungo termine oltre che aumentare il livello di sicurezza personale e degli altri.”

“Sentirci particolarmente capaci perché capita che nel sorpassare altre macchine, pur non mettendo la freccia, riusciamo nel nostro intento senza creare scompenso è un elemento sufficiente per sentirci invincibili?”

Si tratta di pensieri comuni che attraversano la mente della maggior parte delle persone, in modo più o meno conscio.

Una volta constatato che a fronte di un rischio oggettivo la valutazione e la rappresentazione di esso può essere soggettiva e compreso come le persone possano avere attitudini differenti, è bene cogliere ciò che viene dopo. Siamo esseri fallaci e fallibili, tuttavia stiamo sviluppando da secoli una conoscenza di noi stessi e della realtà che ci circonda. In gran parte tale conoscenza ci può portare ad avere una maggiore padronanza dell’ambiente che ci circonda. Assunta tale consapevolezza, quindi, è bene affrontare le sfide quotidiane sfruttando al meglio le nostre capacità e le nostre conoscenze.

Senza dimenticare che il rischio percepito non necessariamente corrisponde alla realtà oggettiva. Quindi se il pericolo non è imminente, vale la pena esaminare i vari elementi che portano a considerare pericoloso un ambiente  o una situazione che si sono dimostrate invece sicure, così che la prossima volte incappando in un contesto similare non ci si farà più travolgere dall’ansia ingiustificata, dalla frenesia o si sarà più bravi a mitigare i danni di eventuali accadimenti negativi.